Dove potrete passeggiare indisturbati e romanticamente nel cuore della notte. Indicatissimo per i romani.
Roma è percepita dalla maggior parte dei suoi abitanti, dal 58% per la precisione, come una città insicura. La più insicura, tra le dieci metropoli mondiali (New York, Bombay, Londra, Parigi, Il Cairo, San Paolo, Mosca, Pechino e Tokyo) coperte dall’indagine del Censis e della Fondazione Roma, che fa della capitale italiana quella con “il più alto tasso di inquietudine esistenziale”. La ricerca verrà presentata al World Social Summit, che si terrà dal 24 al 26 settembre nella Capitale. Mi perdonerete, dunque, se ho intitolato questo articolo – ebbene sì, provocatoriamente – come l’ho intitolato, e non come la maggior parte delle agenzie (il 58% dei romani si sente insicuro e simili). Per carità, le agenzie fanno il loro lavoro. E io cerco di fare il mio. Che cos’è un’informazione corretta?
Perché c’è un dato che deve far riflettere: la percezione di insicurezza, rapportata soprattutto alla violenza e all’incolumità personale, non corrisponde allo stato reale delle cose. Chiunque abbia dei dubbi su questo, provi a farsi una passeggiata notturna per le peggiori periferie di Londra, di Parigi, di New York o di Pechino. Oppure di Bombay o del Cairo. O di San Paolo.
Roma, in confronto, non è una città sicura: è un paradiso. I romani, però, si sentono insicuri. Gli italiani, si sentono insicuri. Poi, magari, gli insicuri a New York, a Parigi o a Londra ci vanno, ma per una vacanza di quelle in cui vedi solo le cose che luccicano.
Insicurezza percepita, dunque. Un po’ come la temperatura. La percezione però, per quanto alterata, è pur sempre un dato che merita attenzione. Per esempio ci possiamo chiedere come si è generata, da cosa scaturisce.
La colpa della politica è quella di cavalcare l’insicurezza per trarne vantaggio, una strategia di comunicazione, questa, sulla quale si era già incentrata la campagna elettorale della destra. Ma la musica non cambia. Alemanno, infatti, raccoglie prontamente: "Questa è la Roma di Veltroni, l'inquietudine c'è ed è chiaro che poi c'è un'inquietudine di carattere sociale legata al ciclo economico".
Proprio così: economico, e la chiave è probabilmente questa, o anche questa. Purtroppo, da qualche mese a questa parte ci troviamo a ripetere più o meno le stesse cose. A rischio di diventare monotoni anche per noi stessi. E vale a poco la consolazione che non siamo noi, ma la realtà che nel frattempo non è cambiata. Sul piano della sicurezza la comunicazione politica della destra ha subito pochissime variazioni dalle elezioni, tanto che restano valide alcune considerazioni portate da Aldo Schiavone in un lucidissimo articolo pubblicato una decina di giorni dopo le elezioni su La Repubblica (L’ideologia del guscio), e che ritengo utile citare per intero:
“Sappiamo bene – Bauman l’ha spiegato con esemplare chiarezza – che in situazioni di trasformazione veloce come quella che stiamo attraversando agisce in profondità un meccanismo di psicologia collettiva che tende a spostare sul piano del timore per la propria incolumità personale – per la propria “sicurezza” anche fisica –molta di quella che in origine si presenta piuttosto per ciascuno di noi come ansia da precarietà sociale, da deficit di futuro, da perdita di controllo sul proprio destino. Questo slittamento – che ognuno può facilmente sperimentare su se stesso – offre un’opportunità impareggiabile alla persuasione politica.”
Che le cose stiano così, lo mostra bene il fatto che il disagio, tornando allo studio del Censis, sia avvertito soprattutto dai giovani tra i 18 e i 29 anni, nei quali è associato alle difficoltà economiche e lavorative. Deficit di futuro, insomma. Che la destra ha abilmente incassato e continua a incassare.
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