martedì 10 febbraio 2009

Il silenzio negletto

Non ci eravamo sbagliati, purtroppo, nel ritenere che la costruzione della civiltà dell’intrattenimento fosse organica a un preciso disegno politico. Non che ci fosse bisogno di chissà quali conferme per capirlo, perché questo processo è chiaro da tempo a chiunque sia disposto a vedere. Ma la conferma è stata delle più eclatanti, con la strumentalizzazione del “caso Englaro” a fini politici, oltre la sua tragica conclusione, che segna per molti aspetti un epilogo “logico” del berlusconismo.


Di questa vicenda, oltre al palese disprezzo delle più elementari regole democratiche da parte della maggioranza di governo, ha colpito il silenzio violato. Non è un caso, ma la risultante di un humus culturale che è stato lungamente coltivato. La civiltà dell’intrattenimento è costruita strutturalmente per invitare lo spettatore/elettore a pronunciarsi su tutto: “dì la tua su tutto”, anzi, di più, “facci sapere sempre la tua opinione, ci teniamo molto che tu possa esprimerla”. Nella grande democrazia mediatica c’è spazio per tutti, ognuno è rappresentato. Nessuno si deve sentire escluso.


È il falso pluralismo dell’era della televisione, che in realtà confeziona adeguatamente la possibilità di scelta: o di qua o di là, una delle due, all’insegna della semplificazione del dibattito, della massima omologazione dei gusti, secondo le più collaudate tecniche del “giornalismo” televisivo imperante, che in realtà ricade del tutto all’interno del contenitore dell’intrattenimento. Tanto che i confini tra “informazione” e intrattenimento sono sempre più sfumati.


L’alternativa viene posta in modo netto: bianco o nero, e su questo lo spettatore/elettore è chiamato a pronunciarsi, ad esercitare la sua insindacabile libertà di giudizio; adeguatamente orientato però, ed è questo l’essenziale, verso una proditoria polarizzazione del dibattito su un binario prestabilito.

Al di là di quello che si dice, del cicaleccio, è anche ciò che non si tace più a caratterizzare la civiltà dell’intrattenimento. Il silenzio diventa un disvalore: denota imbarazzo, impaccio, assenza di qualcosa da dire. Ne consegue che si possa dire qualsiasi cosa purché, appunto, si dica qualcosa. Le pause vanno assolutamente riempite, in ogni modo e a qualsiasi costo: la televisione, e non la natura, nutre un assoluto, radicale horror vacui.


Ma quando il silenzio viene svuotato di significato anche la parola, inevitabilmente, perde il suo peso: diventa irriflessa, immediata, grossolana.

Ecco allora che l’affermazione della civiltà dell’intrattenimento, che di per se è un fenomeno antropologico, ha il suo preciso correlato politico: lo svuotamento e l’impoverimento del dibattito, l’annullamento di ogni visione complessa e di ogni solida cultura politica, in nome della semplificazione; la scelta della proposta più gretta che viene somministrata allo spettatore/elettore ormai ridotto a un mero, pavloviano risponditore agli stimoli che gli vengono inviati. Cosi accade che in quel gigantesco reality show in cui è stata trasformata l’arena politica, esattamente come in televisione, normalmente ha ragione chi urla più forte o, in ultima analisi, il proprietario.


Ed ecco l’epilogo: anche su Eluana ciascuno ha potuto dire la sua. Ciascuno ha potuto pronunciarsi anche sul dolore, sull’insondabile dilemma morale di suo padre, Giuseppe Englaro. Nella civiltà dell’intrattenimento, ignorante e irrispettosa del silenzio, il corpo inerme di Eluana ha potuto essere oggetto delle più svariate intromissioni. Profanato dai fanatici della vita e destinatario delle volgari allusioni di un premier triviale e privo di qualsiasi senso delle istituzioni. Questo è l’esito di una civiltà dimentica del valore, di più della necessità, in alcuni casi, del silenzio.


Dovrebbe riflettere moltissimo questa Chiesa, che è stata la prima e la più fanatica a violare quella sacrale e intima dimensione dove ciascuno risponde esclusivamente alla propria coscienza (Dio?), ciò che, se non ho inteso male, dovrebbe essere uno dei massimi valori del Cristianesimo – ma in fondo il problema sta proprio qui: a misura di una scissione del Cristianesimo a tutt’oggi non ricomposta, la Chiesa cattolica, esteriorizzando la coscienza, rivendica il monopolio della sua amministrazione.

Ideologica, l’intromissione della Chiesa; cinicamente strumentale, quella della maggioranza di governo; comunque convergenti. Credo che il senso, o uno dei sensi, di tutta questa storia sia che, nella loro estrema diversità, il fanatismo delle gerarchie ecclesiastiche e il nichilismo berlusconiano in qualche modo si tocchino: dove il silenzio è distrutto non può albergare altro che cinismo.

Ora ci si accinge a fare una legge sul testamento biologico che era del tutto necessaria, ma sarà il parto del peggior retroterra culturale possibile.

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