Alle critiche di Google, che aveva manifestato la sua disapprovazione nei confronti del governo italiano che si appresta a una stretta su internet, si sono aggiunte anche quelle di Tiscali. Il gestore italiano ha affermato che la volontà del Parlamento di prendere seri provvedimenti contro i cosiddetti “contenuti criminali” sul web rischia di limitare la libertà d’espressione. Le esternazioni di Tiscali fanno seguito al disegno di legge approvato dal Senato italiano lo scorso 5 febbraio, allo scopo di bloccare quei contenuti sul web che incitano o giustificano comportamenti “criminali”, dopo che la stampa italiana aveva documentato il proliferare su Facebook di gruppi che sostengono alcuni boss detenuti della Mafia siciliana.
Il disegno di legge, se dovesse venire convertito in legge, darebbe al ministero degli interni il potere di obbligare i provider internet, compreso Tiscali, a rimuovere i contenuti ritenuti “criminali” entro 24 ore, oppure pagare una multa fino a 250 mila euro.
“La liberà d’espressione è un materia molto delicata” – avverte Carlo Mannoni, un dirigente di Tiscali – “É difficile stabilire quando opinioni pubblicate su Facebook o sui blog costituiscano un crimine”. Mannoni aggiunge che i gestori collaborano già con le autorità per contrastare la pedofilia, in merito alla quale non esistono dubbi sul fatto che si tratti di materiali criminali.
Le proteste di Tiscali fanno seguito a quelle di Google, che aveva sollevato, la scora settimana, le stesse perplessità sul disegno di legge del governo.
I motivi di apprensione sono reali, per rendersene conto basterà ricordare che quanto si sta legiferando in questo momento della vita politica italiana deve essere inserito, se lo si vuole comprendere, nel quadro della più ampia volontà politica. L’osservazione dovrebbe essere pleonastica, ma non lo è affatto, perché ormai l’opinione pubblica italiana digerisce anche le pietre, dunque non è superfluo ricordare che una legge potenzialmente lesiva della libertà d’espressione è certamente lesiva della libertà d’espressione, nelle sue intenzioni, se è il prodotto di una maggioranza il cui premier si chiama Silvio Berlusconi. A ciò si deve aggiungere che lo scorso luglio Mediaset aveva minacciato di fare causa a Google e YouTube, rei, secondo l’azienda di proprietà del presidente del Consiglio, di distribuire contenuti di sua proprietà.
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