In Italia le classi differenziali erano state abolite negli anni Settanta. Per dei validissimi motivi. Perché la pedagogia, la politica, le parti sociali compresero che non risolvevano il problema, ma lo accrescevano, diventando vere classi-ghetto.
A quasi quarant’anni di distanza torna questa logica della marginalizzazione che sembrava superata una volta per tutte. In passato a farne le spese erano i portatori di handicap o di disagi di natura sociale. Oggi, 2008, saranno i bambini immigrati, relegati in “classi ponte” finché non avranno imparato l’italiano. Come se la lingua non si imparasse anche – soprattutto – con la socialità.
Che sia così sarebbe già abbastanza intuitivo, in più è stato dimostrato ampiamente dalle scienze dell’educazione. Un ritardo, nello specifico linguistico e di conoscenza del contesto culturale, nei primi anni dell’infanzia, quando il cervello è più plastico e le capacità di adattamento intatte, viene riassorbito molto rapidamente, e tanto più rapidamente quanto più il bambino straniero è a diretto contatto con gli altri bambini.
Oltre trent’anni di progresso delle scienze dell’educazione e della società civile vengono polverizzati dalla mozione, proposta manco a dirlo dalla Lega, che impegna il governo a rivedere il sistema di accesso degli stranieri alla scuola “di ogni ordine e grado, favorendo il loro ingresso, previo superamento di test e specifiche prove di valutazione”.
In soldoni, gli immigrati che non supereranno il test d’ammissione dovranno frequentare delle “classi ponte”, come vengono definite, perché finalizzate all’apprendimento della lingua italiana e quindi all’inserimento nel normale corso di studi. Si continua a giocare con le parole. È un salto indietro, un’aberrazione culturale, un passo inquietante verso l’esclusione sociale, la discriminazione, la marginalizzazione. È un mostro che prefigura una scuola dell’apartheid. Gli stranieri da una parte, i bambini italiani dall’altra.
Settant’anni fa in Italia venivano varate le leggi razziali. Sessant’anni fa,
2 commenti:
Caro Pierpaolo, perché considerare come già legge qualcosa che è solo ipotesi, cioè una mozione parlamentare che - come è noto - vale quanto un biglietto del tram scaduto? Prima che un'idea del genere diventi legge, non trovi che debba affrontare il percorso parlamentare e, forse, anche la Corte Costituzionale? Legittimo quindi criticare l'idea, ma non trattarla come fosse già norma. Un'idea è un'idea, una legge è una legge, e sono cose ben diverse. Non trovi? Teniamo la nostra indignazione per ciò che è reale, come per esempio il taglio del 30% al fondo per le famiglie. Ciao
Cara Paola,
è vero che si tratta di una mozione e che perchè diventi legge deve affrontare un iter parlamentare. Ed è vero anche che, a differenza di altri provvedimenti, questa mozione è passata per una manciata di voti, a dimostrazione che anche all'interno della maggioranza esistono divergenze su questa linea.
Ma trovo che sia già abbastanza allarmante che una mozione del genere venga proposta e che passi. Questo proprio perchè sono d'accordo con te su un punto: non solo una mozione, ma anche una legge vale meno della volontà politica che la esprime e che deve applicarla. Per questo credo che la mozione proposta dalla Lega sia un tassello, una spia di un disegno generale, che rischia di prefigurare un'involuzione allarmante della scuola pubblica (e questo è terribilmente reale!). Le cose vanno viste in un'ottica sistemica.
Ti ringrazio per il commento e per questo scambio di vedute.
Ciao
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