Saviano lascia l’Italia. Ma, soprattutto, l’Italia ha lasciato Roberto Saviano. I fatti sono noti. L’autore di “Gomorra” vive sotto scorta da più di due anni, passando da una caserma all’altra. Una vita che non è più vita. Ora, la confessione di un pentito di camorra circa l’esistenza di un piano per uccidere Saviano entro la fine dell’anno ha spinto il 28enne scrittore a prendere la decisione sempre rimandata, sempre rifiutata come fosse un imperdonabile cedimento. Non c’era bisogno che gli capitasse qualcosa perché fosse lecito parlare di una sconfitta della democrazia. È sufficiente il fatto che se ne debba andare.
Saviano è stato abbandonato dalla politica, ma trascurato anche da un’opinione pubblica inerte, rassegnata o complice, che non ha voglia di ascoltare la sua voce. Oppure l’ha ascoltata, ma molti, troppi devono aver pensato: “ma chi gliel’ha fatto fare?”.
Già. Chi gliel’ha fatto fare di dire la verità, quando per scrivere un bestseller bastano 100 colpi di spazzola. Ma Saviano non è un venditore di libri. È uno scrittore. È un intellettuale. Roberto Saviano è anche un ragazzo di 28 anni, prigioniero del suo successo, come lui stesso ha avuto a dire, ma soprattutto, diciamo noi, prigioniero del rancore di chi lo vorrebbe morto, del risentimento che i mediocri provano per la verità, dell’invidia per il suo talento.
Saviano è un intellettuale coraggioso, che ha fatto “semplicemente” quello che ogni intellettuale dovrebbe fare: dire la verità. A differenza dei molti “intellettuali” che infestano la nostra cultura. Quelli che non correranno mai alcun rischio, perché non dicono alcuna verità e non danno fastidio a nessuno. Vanno in televisione. Elevano l’ovvio a sistema, regola, analisi. Dicono quello che vuole la gente, vendono libri, fanno “opinione”.
No, Saviano non è come gli pseudo-intellettuali da talk show. E non è nemmeno come quelli che riempiono le piazze. Non il qualunquismo indifferenziato – che non da fastidio a nessuno esattamente come l’intellettuale frivolo – ma la denuncia esatta, circostanziata, documentata.
Saviano fa le valigie. Il presidente Napolitano, alla cui buona fede credo, dice che lo Stato sta vegliando su di lui. Ma chi è lo Stato, chi lo rappresenta? Chi siede in Parlamento? Una cosa è certa: se lo Stato non riesce a proteggere un uomo, un intellettuale che ha detto le cose come stanno allora significa che esiste un serio problema di libertà d’espressione. Se l’opinione pubblica non si indigna a sufficienza significa che l’opinione pubblica è atrofizzata in modo speculare all’involuzione della politica e del discorso politico. La partenza di Saviano è una bruttissima pagina di un Paese che sta scivolando pericolosamente verso un baratro.
Certo, qualcuno mi potrebbe dire che l’Italia non è, o almeno non è ancora, una dittatura. È vero. Infatti è una democrazia demagogica. Ma ogni democrazia demagogica è pervasa dalla tentazione totalitaria. L’attuazione di questa tentazione non ha una soglia esatta e quantificabile. Non è un interruttore. Ma può esistere un momento in cui si concretizza, il momento in cui i duri d’orecchie si guardano indietro e chiedono: “Come è stato possibile?”
Forse questa domanda ce la dovremmo porre, tutti quanti, prima di arrivare a quel punto di non ritorno. Perché un intellettuale, un ragazzo di 28 anni è costretto a lasciare l’Italia per aver detto la verità. E questo, evidentemente, significa che in Italia la verità non si può più dire.
2 commenti:
ehehe...ho fatto una vignetta su sta storia, lunedì la trovi su emme de l'unità! accattatillo! (pubblicità regresso) :p
appunto la telepatia di cui parlavamo ;-)
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