Il nuovo inquilino della Casa Bianca dovrà fare i conti, tra le altre cose, con la perdita d’influenza degli Stati Uniti in tutta l’area del Pacifico. I guai non vengono mai da soli. L’adagio popolare è ancor più vero per gli Stati Uniti che, sconquassati nell’economia, continuano a perdere i pezzi della loro leadership mondiale. Un esempio è fornito dalla recente decisione della Corea del Nord di togliere i sigilli al suo maggior reattore nucleare, quello della centrale di Yongbyon. I negoziati sono in corso e gli esiti del viaggio asiatico compiuto in settimana da Cristopher Hill, l’inviato americano per la questione nucleare, apparentemente non hanno portato a una conclusione certa.
Lo smantellamento del reattore nucleare era stato deciso l’anno scorso, a seguito di una serie di colloqui a sei, che avevano visto come protagonisti le due Coree, Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone. Sebbene l’intesa definitiva fosse stata raggiunta soltanto durante l’estate, la tappa decisiva era stata rappresentata dal vertice di Pechino svoltosi nel mese di febbraio. Un indiscutibile successo strategico per la Cina che, in parziale controtendenza rispetto alla tradizionale politica di sostegno al governo di Pyongyang, si era imposta come mediatore confermando di svolgere un ruolo ormai irrinunciabile per gli equilibri di tutta l’area. Gli Stati Uniti ne erano usciti molto meno bene. Gli accordi raggiunti nella capitale cinese avevano difatti stabilito i termini per lo smantellamento del reattore, ottenuto solo dopo aver superato la forte resistenza del Giappone e in cambio della concessione di ingenti risorse energetiche, soprattutto petrolio.
Adesso sembrerebbe che sia tutto da rifare ma soprattutto è ragionevole credere che il regime nordcoreano stia facendo i suoi conti, alla luce dei reali rapporti di forza e delle mutate sfere d’influenza nella regione. La motivazione ufficiale addotta dal governo di Pyongyang è il rifiuto degli Stati Uniti di cancellare la Corea del Nord dalla lista degli “stati terroristi”. Ma è difficile non intuire in quel gesto anche una sfida aperta a una leadership, quella americana, che appare sempre più in difficoltà, con un presidente dalla credibilità vacillante, funestato per giunta da una crisi economica che si preannuncia duratura e profonda.
Il nuovo presidente americano dovrà preoccuparsi dello scenario del Pacifico, un’area che ha sempre rivestito per l'America una fondamentale importanza strategica, ma i segni di insofferenza nei confronti degli Stati Uniti sono diventati, negli ultimi anni, sempre più evidenti.
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