Bush condanna Hamas, ma non Israele Dal Caucaso a Gaza, passando per l’Iraq, il fallimento strategico dell'amministrazione americana uscente
Mentre l’amministrazione Bush è ormai prossima a passare il testimone, l’esplosione della rappresaglia israeliana su Gaza palesa una volta in più il suo fondamentale insuccesso strategico in più angoli del mondo.
Naturalmente nessuno può pretendere di avere la soluzione al conflitto più intricato che si conosca, ma a mostrare l’inadeguatezza, persino l’imbarazzo, della risposta americana è soprattutto la reazione politica a quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza. Fin dal primo giorno dell’offensiva israeliana contro Hamas, l’amministrazione Bush ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi, una linea certamente non nuova.
Ma di fronte alla domanda posta ieri da un giornalista, se la risposta di Israele sia stata proporzionata alla provocazione di Hamas – il lancio di missili verso le città israeliane – la Casa Bianca non ha voluto fornire un punto di vista. Eppure, fa notare il giornalista americano Mark Knoller di CBS News, “appena qualche mese fa, il presidente Bush non aveva alcun dubbio sulla proporzionalità. Infatti era del tutto certo che la Russia avesse ingaggiato un conflitto militare del tutto asimmetrico nei confronti della Georgia”.
A rigore, lo stesso ragionamento dovrebbe essere applicato alla risposta di Israele, visto che le forze militari di Hamas sono ancora decisamente rudimentali e, appunto, del tutto sproporzionate rispetto ai mezzi a disposizione dell’esercito israeliano, che da giorni sta riversando sulla Striscia di Gaza centinaia di tonnellate di bombe senza che questo comporti alcuna visibile soluzione politica.
In compenso, e a scanso di equivoci, stamattina Bush ha condannato la provocazione di Hamas definendo il lancio di missili un “atto di terrorismo”. Il che, nessuno ne dubita, corrisponde a verità, ma alle affermazioni di G.W. Bush continua a mancare la necessaria integrazione sulla rappresaglia messa in atto da Israele.
E non è un caso che manchi questo riconoscimento, perché la stessa mancanza di una strategia politica che sta mostrando lo Stato di Israele, ha caratterizzato, nel complesso, anche l’atteggiamento dell’amministrazione Bush in molte aree di rilevanza geopolitica, dal Caucaso a Gaza passando naturalmente per l’Iraq, nelle quali gli Stati Uniti si sono mossi ispirandosi esclusivamente a una logica conflittuale e di interesse particolare. Nessuno sforzo significativo è stato invece profuso per capire le ragioni profonde delle parti interessate, un tentativo che rappresenta la necessaria premessa per la composizione di qualsiasi conflitto. Così, se si vuole fare qualche passo serio verso una soluzione del conflitto israelo-palestinese non è certamente sulle ragioni di Hamas che bisogna soffermarsi, né su quelle dell’esercito di Israele, bensì sull’uguale diritto di esistere sia del popolo palestinese che di quello israeliano. Un’evidenza, questa, che è deve essere sempre stata incomprensibile a Bush nell’essenza. E che apparirà sempre incomprensibile a chiunque sia incapace di capire altre ragioni che quelle strumentali.
Le relazioni internazionali salutano con un sollievo non indifferente l’amministrazione americana uscente, che consegna a Barack Obama e al suo team un lascito disastroso.
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