Per il referendum del prossimo 21 giugno occorre promuovere un’astensione attiva e consapevole per scongiurare la deriva autoritaria che verrebbe sancita da una vittoria del SI.
Riporto di seguito due distinti interventi, convergenti sulle motivazioni e sulla necessità politica di questa posizione: “Referendum: astensione attiva per il no” di Gim Cassano, e gli “orientamenti” di Critica liberale.
(ppc)
REFERENDUM: ASTENSIONE ATTIVA PER IL NO
Il prossimo 21 giugno gli italiani sono chiamati a pronunciarsi su tre quesiti referendari riguardanti la legge elettorale vigente.
I tre quesiti sono falsamente abrogativi: il loro effetto non è quello di abrogare in tutto o in parte la legge vigente, ma di scriverne una nuova, peggiore, se possibile, di quella attuale. L’effetto di un eventuale successo del SI, non sarebbe infatti la cancellazione, totale o parziale, della legge definita come “porcata” da uno dei suoi autori, ma il lasciarne in piedi gli aspetti sostanziali, ivi comprese le liste bloccate, e di “aggiungere” un nuovo ed essenziale elemento: quello di spostare dalla maggior coalizione al maggior partito, quale che sia il risultato conseguito, l’attribuzione del premio di maggioranza.
In altre parole, con un sapiente uso dell’abolizione di parole e virgole, si “produce” una nuova legge.
Al di là di ogni considerazione di merito, questa constatazione, da sola, motiva adeguatamente un’azione politica volta a far fallire il tentativo di procedere ad una irrituale degenerazione dell’istituto referendario; che, ricordiamolo, è abrogativo, e non propositivo e legislativo.
Il modo più appropriato per contestare questo uso distorto del Referendum è quello di negarne alla radice la legittimità, non recandosi a votare per nessuno dei tre quesiti; o, recandosi a votare per gli eventuali ballottaggi delle amministrative, non ritirare le tre schede relative ai quesiti referendari. Il che non è astensionismo passivo: è astensione attiva, motivata da un preciso e motivato ragionamento sui meccanismi di funzionamento di una democrazia.
Lungi da noi l’idea di difendere il Porcellum, non possiamo convenire con un’operazione truffaldina, che cerca di far passare come abrogativo quel che abrogativo non è, risultando invece produttivo di una nuova legge.
E veniamo alle implicazioni politiche di un eventuale successo del SI. Gli italiani devono sapere che in questo caso, cambierebbero due cose:
La prima, pienamente condivisibile in via di principio ma di non rilevante impatto politico:
Verrebbe eliminata la possibilità delle candidature plurime al Senato ed alla Camera, che ha consentito sinora ai maggiori leaders dei diversi partiti di candidarsi in più circoscrizioni.
La seconda, che ha invece carattere sostanziale:
Il premio di maggioranza, che il Porcellum (la legge attuale) riserva alla coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti, verrebbe invece attribuito alla singola lista che abbia ottenuto il più alto numero di voti. In pratica, se si votasse oggi con la legge che deriverebbe dalla vittoria del Referendum, il PdL (e cioè l’arzillo Cavaliere) avrebbe, da solo, e senza bisogno dei voti della Lega o del MPA, la maggioranza assoluta nelle due Camere.
In quanto al PD, il successo del SI garantirebbe a quel partito il ruolo di eterno secondo, e di monopolista padrone di un’opposizione addomesticata.
In quanto alle altre formazioni, esse si troverebbero a dover scegliere tra il dover lottare per la conquista della soglia del 4% alla Camera e dell’8% al Senato, o il dover accettare l’ospitalità, alle condizioni dettate dai due partiti maggiori, nelle liste di questi.
Non sembra, questo, un buon programma di lotta alla partitocrazia: il potere di condizionare il sistema politico italiano verrebbe concentrato nei ristrettissimi vertici dei due maggiori partiti, i quali verrebbero messi in condizione di determinare, da soli, i nominativi di tutti i componenti della Camera e del Senato, senza che agli italiani venga consentito un minimo di intervento sulla scelta della rappresentanza. Il potere della partitocrazia non verrebbe ridotto, ma semplicemente concentrato nelle mani di due monopolisti tra loro non competitivi: quello dell’intero Paese e, ben distanziato, quello della minoranza.
Poiché la politica non può prescindere dalla valutazione della realtà quale essa ci si presenta, l’aspetto più grave della questione è che l’eventuale successo del SI sarebbe il rendere l’intera politica italiana ostaggio di un signore che non fa più alcun mistero della propria vocazione al cesarismo. Il partito di questo signore, cioè lui in prima persona, visto il tasso di democrazia interna, anche statutariamente stabilito, del PdL, nominerebbe da solo, forse col consiglio dei genitori di quelle signorine che lo chiamano Papi, almeno il 55% delle due Camere: quelle stesse che eleggeranno il prossimo Presidente della Repubblica, e che, probabilmente, ridisegneranno la mappa istituzionale della Repubblica. In nessuna democrazia al mondo è mai avvenuto che una persona, da sola, potesse “nominare” il 55% del Parlamento; e neanche in molti regimi autoritari.
Questo sistema elettorale ha, in Italia, un solo precedente: la legge Acerbo del 1923, che alcuni hanno visto come l’atto di suicidio di un Parlamento (non l’unico nella storia europea: Reichstag, 1933; Assemblée Nationale, 1940), che consentì al Parlamento poi eletto con tale sistema, e dominato dal PNF, di instaurare il regime senza violare la legalità formale.
Sarebbe opportuno avere la decenza di non parlare di bipartitismo dell’alternanza come risultato dell’eventuale successo del SI, quando in questo Paese vengono cancellati gli strumenti democratici per renderla praticabile, ad iniziare dalla libertà e dal pluralismo dell’informazione.
E non si venga a dire che il successo del SI obbligherà Forze politiche e Parlamento a riscrivere la legge, ed a scriverne una migliore: se questa volontà e questa capacità vi fossero state, si sarebbe già provveduto, magari a suon di voti di fiducia, o in virtù di un accordo generale come è stato per la legge elettorale europea. Non si riesce a capire come sia possibile mistificare i fatti ed imbrogliare gli italiani in questo modo.
Per una volta, il presidente del consiglio ha detto la verità: “il SI mi dà il 55%; sarei masochista a votare NO”. La brutale e logica chiarezza di questa dichiarazione ridicolizza il balbettio incoerente di quegli esponenti della minoranza parlamentare che accampano pretesti per trovare una qualche motivazione per il SI: per essi, l’unica, vera quanto inconfessabile, motivazione, è quella dell’essersi arresi chiedendo grazia al vincitore.
Se questo è lo scenario che si verrebbe a creare in caso di successo del SI, tutti quegli italiani di destra, di sinistra e di centro che ancora pensano che non sia cosa saggia il consegnare tutto il potere ad un solo partito (e cioè, nel nostro caso, ad un solo uomo), senza reali possibilità di alternanza, devono impegnarsi perché il Referendum non abbia successo.
Ciò riguarda gli elettori della Lega e di altre formazioni della Destra, e gli stessi elettori del PdL, se ve n’è qualcuno che pensa che il governo di un uomo solo non sia un bene per il Paese, e neanche, tutto sommato, per la propria parte politica. Riguarda quegli elettori del PD, più o meno convinti della capacità di tenuta di quel partito, ma che ritengono che la prospettiva del PD non possa ridursi al ruolo di eterno secondo, compensato dalla concessione del monopolio di un’opposizione addomesticata. E riguarda gli elettori ed i simpatizzanti di tutte le altre formazioni presenti o meno in Parlamento, che si vedrebbero costretti in una gabbia falsamente bipartitica; in realtà monocratica.
Riguarda, in sostanza, tutti gli italiani che ancora ritengono che la nostra, comunque, debba essere una democrazia, governata dalla destra o dalla sinistra che sia; ma comunque, una democrazia e non il regime personale di un solo uomo. Perché questa, in definitiva, è la posta in gioco. A tutti questi ci si deve rivolgere perché il Referendum non abbia successo. Poiché il rischio di involuzione ulteriore verso un finto bipartitismo populista è immenso, è inderogabile seguire la strada che offra la massima probabilità di far fallire questa operazione truffaldina.
Questa strada è quella di non recarsi a votare il 21 Giugno, o di non ritirare le tre schede referendarie dove quel giorno si sarà chiamati al voto per i ballottaggi delle amministrative, per effetto di una meditata scelta politica, motivata prima di tutto dalla considerazione di principio che qui sopra ha preceduto il ragionamento di merito politico, e motivata dalla realistica valutazione del merito e delle condizioni politiche attuali.
Astensione, allora, come scelta attiva di interessamento alla vita democratica, e non come rifiuto della politica.
Gim Cassano, 11-05-2009
Orientamento al voto di Critica liberale
Critica liberale ritiene urgente che si organizzi un “Comitato per l’astensione” in occasione dei referendum elettorali del prossimo 21 giugno, e si avvii una campagna per il boicottaggio del voto: una campagna astensionista è ormai il solo strumento rimasto per evitare la catastrofe definitiva della democrazia liberale in Italia e la sua completa sostituzione con una dittatura plebiscitaria.
Questi sono referendum truffaldini, perché si presentano come abrogativi di una legge pessima come la “Porcata” di Calderoli, ma al contrario ne aggravano irrimediabilmente tutti gli effetti.
Dei tre quesiti referendari l’unico che apporterebbe un miglioramento dell’attuale orrenda “legge-porcata” (come la definì il suo stesso autore) è quello di gran lunga meno importante, il terzo, che impedirebbe le candidature multiple che oggi fungono da specchietto per le allodole. Un miglioramento del tutto trascurabile rispetto alla catastrofe costituzionale, alla super-porcata, che sarebbe prodotta dai primi due. Questi consegnerebbero il paese, senza più contrappesi di alcun rilievo, nelle mani del “capo” del partito di maggioranza relativa: anche con meno di un quarto dei voti (anche con il 23 % di Forza Italia del 2006), con questa legge il partito relativamente più grosso avrebbe sempre e comunque il 55% dei parlamentari. Nell’attuale situazione Berlusconi non potrebbe che vincere sempre e comunque, e diventare il padrone assoluto a vita dell’Italia, circondato da parlamentari-dipendenti nominati solo da lui e responsabili esclusivamente verso di lui. Con la vittoria del SÌ l’esito scontato delle future elezioni politiche sarebbe quello di conferire a Berlusconi i pieni poteri: non solo sarebbero nelle sue mani le leggi, le regole del gioco e l’elezione del presidente della Repubblica, ma gli si renderebbero più agevoli la modifica della Costituzione e l’elezione di tutti gli organi di garanzia. Con la legge Acerbo, Mussolini poté trasformare il suo 64,9 % dei voti nei due terzi dei seggi: una distorsione minima rispetto a quella prevista dai prossimi referendum.
È stupido, ridicolo e patetico fingere di credere che, ottenuto su un piatto d’argento un tale risultato grazie ai suoi insipienti oppositori, Berlusconi sarebbe poi disposto a ridiscutere tutto, concordando con loro una nuova legge elettorale. I suoi, del resto, l’hanno già esplicitamente dichiarato.
Si possono avere le opinioni più varie sul bipartitismo in sé, ma non si può discuterne come se la qualità dei soggetti in campo fosse irrilevante anziché assolutamente determinante.
Regalare a Berlusconi uno smisurato dominio soltanto per distruggere i partiti potenzialmente alleati e per costringere il loro elettorati a votare Pd è stato il tragico storico errore della classe dirigente veltroniana. Ripeterlo, aggravarlo e renderlo permanente significa non apprendere le lezioni della storia. Il centrosinistra e la sinistra hanno più che ampiamente dimostrato di non avere capacità di aggregazione di forze diverse in un solo polo e addirittura in una coalizione di governo. È pura farneticazione pensare che, in tempi ragionevoli, il Pd, che non riesce a riunire neppure le forze già presenti al suo interno, possa comprendere e rappresentare da solo un elettorato così variegato, dagli estremisti clericali come la Binetti fino ai comunisti di Ferrero. Il tutto, mentre Berlusconi ha già operato felicemente l’aggregazione della destra in un solo partito, il suo.
Per tutti gli altri vaneggiare di bipartitismo in questa condizioni è letale per la democrazia. Ed ancor più dissennata è l’idea di rafforzare la posizione della maggioranza parlamentare nel momento in cui quella al potere è la più forte della storia repubblicana.
Come abbiamo ampiamente sperimentato a nostre spese, il meccanismo previsto dalla legge referendaria avvantaggia sempre i sostenitori del NO a qualunque proposta di abrogazione: ora, nella battaglia contro il rafforzamento della legge-porcata, l’astensione gioca a nostro favore perché incamera anche l’astensionismo fisiologico. La posta in gioco è troppo alta per rinunciare a questo vantaggio. Perciò, chi vuole effettivamente negare questo regalo a Berlusconi e impedire il definitivo svuotamento della democrazia italiana non può limitarsi a votare NO, ma deve astenersi. Date le forze e le risorse in campo, l’eventuale vittoria del NO è estremamente improbabile: andare a votare NO servirebbe quindi soltanto a far superare il quorum e a provocare la vittoria del SÌ. I nostri concittadini, per quanto narcotizzati da un’informazione asservita, e il Pd, pur nell’assoluta insipienza di cui sta dando prova, e gli stessi alleati di Berlusconi, sono pronti a consegnare i pieni poteri e tutte le nostre libertà a uno come lui?
Riporto di seguito due distinti interventi, convergenti sulle motivazioni e sulla necessità politica di questa posizione: “Referendum: astensione attiva per il no” di Gim Cassano, e gli “orientamenti” di Critica liberale.
(ppc)
REFERENDUM: ASTENSIONE ATTIVA PER IL NO
Il prossimo 21 giugno gli italiani sono chiamati a pronunciarsi su tre quesiti referendari riguardanti la legge elettorale vigente.
I tre quesiti sono falsamente abrogativi: il loro effetto non è quello di abrogare in tutto o in parte la legge vigente, ma di scriverne una nuova, peggiore, se possibile, di quella attuale. L’effetto di un eventuale successo del SI, non sarebbe infatti la cancellazione, totale o parziale, della legge definita come “porcata” da uno dei suoi autori, ma il lasciarne in piedi gli aspetti sostanziali, ivi comprese le liste bloccate, e di “aggiungere” un nuovo ed essenziale elemento: quello di spostare dalla maggior coalizione al maggior partito, quale che sia il risultato conseguito, l’attribuzione del premio di maggioranza.
In altre parole, con un sapiente uso dell’abolizione di parole e virgole, si “produce” una nuova legge.
Al di là di ogni considerazione di merito, questa constatazione, da sola, motiva adeguatamente un’azione politica volta a far fallire il tentativo di procedere ad una irrituale degenerazione dell’istituto referendario; che, ricordiamolo, è abrogativo, e non propositivo e legislativo.
Il modo più appropriato per contestare questo uso distorto del Referendum è quello di negarne alla radice la legittimità, non recandosi a votare per nessuno dei tre quesiti; o, recandosi a votare per gli eventuali ballottaggi delle amministrative, non ritirare le tre schede relative ai quesiti referendari. Il che non è astensionismo passivo: è astensione attiva, motivata da un preciso e motivato ragionamento sui meccanismi di funzionamento di una democrazia.
Lungi da noi l’idea di difendere il Porcellum, non possiamo convenire con un’operazione truffaldina, che cerca di far passare come abrogativo quel che abrogativo non è, risultando invece produttivo di una nuova legge.
E veniamo alle implicazioni politiche di un eventuale successo del SI. Gli italiani devono sapere che in questo caso, cambierebbero due cose:
La prima, pienamente condivisibile in via di principio ma di non rilevante impatto politico:
Verrebbe eliminata la possibilità delle candidature plurime al Senato ed alla Camera, che ha consentito sinora ai maggiori leaders dei diversi partiti di candidarsi in più circoscrizioni.
La seconda, che ha invece carattere sostanziale:
Il premio di maggioranza, che il Porcellum (la legge attuale) riserva alla coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti, verrebbe invece attribuito alla singola lista che abbia ottenuto il più alto numero di voti. In pratica, se si votasse oggi con la legge che deriverebbe dalla vittoria del Referendum, il PdL (e cioè l’arzillo Cavaliere) avrebbe, da solo, e senza bisogno dei voti della Lega o del MPA, la maggioranza assoluta nelle due Camere.
In quanto al PD, il successo del SI garantirebbe a quel partito il ruolo di eterno secondo, e di monopolista padrone di un’opposizione addomesticata.
In quanto alle altre formazioni, esse si troverebbero a dover scegliere tra il dover lottare per la conquista della soglia del 4% alla Camera e dell’8% al Senato, o il dover accettare l’ospitalità, alle condizioni dettate dai due partiti maggiori, nelle liste di questi.
Non sembra, questo, un buon programma di lotta alla partitocrazia: il potere di condizionare il sistema politico italiano verrebbe concentrato nei ristrettissimi vertici dei due maggiori partiti, i quali verrebbero messi in condizione di determinare, da soli, i nominativi di tutti i componenti della Camera e del Senato, senza che agli italiani venga consentito un minimo di intervento sulla scelta della rappresentanza. Il potere della partitocrazia non verrebbe ridotto, ma semplicemente concentrato nelle mani di due monopolisti tra loro non competitivi: quello dell’intero Paese e, ben distanziato, quello della minoranza.
Poiché la politica non può prescindere dalla valutazione della realtà quale essa ci si presenta, l’aspetto più grave della questione è che l’eventuale successo del SI sarebbe il rendere l’intera politica italiana ostaggio di un signore che non fa più alcun mistero della propria vocazione al cesarismo. Il partito di questo signore, cioè lui in prima persona, visto il tasso di democrazia interna, anche statutariamente stabilito, del PdL, nominerebbe da solo, forse col consiglio dei genitori di quelle signorine che lo chiamano Papi, almeno il 55% delle due Camere: quelle stesse che eleggeranno il prossimo Presidente della Repubblica, e che, probabilmente, ridisegneranno la mappa istituzionale della Repubblica. In nessuna democrazia al mondo è mai avvenuto che una persona, da sola, potesse “nominare” il 55% del Parlamento; e neanche in molti regimi autoritari.
Questo sistema elettorale ha, in Italia, un solo precedente: la legge Acerbo del 1923, che alcuni hanno visto come l’atto di suicidio di un Parlamento (non l’unico nella storia europea: Reichstag, 1933; Assemblée Nationale, 1940), che consentì al Parlamento poi eletto con tale sistema, e dominato dal PNF, di instaurare il regime senza violare la legalità formale.
Sarebbe opportuno avere la decenza di non parlare di bipartitismo dell’alternanza come risultato dell’eventuale successo del SI, quando in questo Paese vengono cancellati gli strumenti democratici per renderla praticabile, ad iniziare dalla libertà e dal pluralismo dell’informazione.
E non si venga a dire che il successo del SI obbligherà Forze politiche e Parlamento a riscrivere la legge, ed a scriverne una migliore: se questa volontà e questa capacità vi fossero state, si sarebbe già provveduto, magari a suon di voti di fiducia, o in virtù di un accordo generale come è stato per la legge elettorale europea. Non si riesce a capire come sia possibile mistificare i fatti ed imbrogliare gli italiani in questo modo.
Per una volta, il presidente del consiglio ha detto la verità: “il SI mi dà il 55%; sarei masochista a votare NO”. La brutale e logica chiarezza di questa dichiarazione ridicolizza il balbettio incoerente di quegli esponenti della minoranza parlamentare che accampano pretesti per trovare una qualche motivazione per il SI: per essi, l’unica, vera quanto inconfessabile, motivazione, è quella dell’essersi arresi chiedendo grazia al vincitore.
Se questo è lo scenario che si verrebbe a creare in caso di successo del SI, tutti quegli italiani di destra, di sinistra e di centro che ancora pensano che non sia cosa saggia il consegnare tutto il potere ad un solo partito (e cioè, nel nostro caso, ad un solo uomo), senza reali possibilità di alternanza, devono impegnarsi perché il Referendum non abbia successo.
Ciò riguarda gli elettori della Lega e di altre formazioni della Destra, e gli stessi elettori del PdL, se ve n’è qualcuno che pensa che il governo di un uomo solo non sia un bene per il Paese, e neanche, tutto sommato, per la propria parte politica. Riguarda quegli elettori del PD, più o meno convinti della capacità di tenuta di quel partito, ma che ritengono che la prospettiva del PD non possa ridursi al ruolo di eterno secondo, compensato dalla concessione del monopolio di un’opposizione addomesticata. E riguarda gli elettori ed i simpatizzanti di tutte le altre formazioni presenti o meno in Parlamento, che si vedrebbero costretti in una gabbia falsamente bipartitica; in realtà monocratica.
Riguarda, in sostanza, tutti gli italiani che ancora ritengono che la nostra, comunque, debba essere una democrazia, governata dalla destra o dalla sinistra che sia; ma comunque, una democrazia e non il regime personale di un solo uomo. Perché questa, in definitiva, è la posta in gioco. A tutti questi ci si deve rivolgere perché il Referendum non abbia successo. Poiché il rischio di involuzione ulteriore verso un finto bipartitismo populista è immenso, è inderogabile seguire la strada che offra la massima probabilità di far fallire questa operazione truffaldina.
Questa strada è quella di non recarsi a votare il 21 Giugno, o di non ritirare le tre schede referendarie dove quel giorno si sarà chiamati al voto per i ballottaggi delle amministrative, per effetto di una meditata scelta politica, motivata prima di tutto dalla considerazione di principio che qui sopra ha preceduto il ragionamento di merito politico, e motivata dalla realistica valutazione del merito e delle condizioni politiche attuali.
Astensione, allora, come scelta attiva di interessamento alla vita democratica, e non come rifiuto della politica.
Gim Cassano, 11-05-2009
Orientamento al voto di Critica liberale
Critica liberale ritiene urgente che si organizzi un “Comitato per l’astensione” in occasione dei referendum elettorali del prossimo 21 giugno, e si avvii una campagna per il boicottaggio del voto: una campagna astensionista è ormai il solo strumento rimasto per evitare la catastrofe definitiva della democrazia liberale in Italia e la sua completa sostituzione con una dittatura plebiscitaria.
Questi sono referendum truffaldini, perché si presentano come abrogativi di una legge pessima come la “Porcata” di Calderoli, ma al contrario ne aggravano irrimediabilmente tutti gli effetti.
Dei tre quesiti referendari l’unico che apporterebbe un miglioramento dell’attuale orrenda “legge-porcata” (come la definì il suo stesso autore) è quello di gran lunga meno importante, il terzo, che impedirebbe le candidature multiple che oggi fungono da specchietto per le allodole. Un miglioramento del tutto trascurabile rispetto alla catastrofe costituzionale, alla super-porcata, che sarebbe prodotta dai primi due. Questi consegnerebbero il paese, senza più contrappesi di alcun rilievo, nelle mani del “capo” del partito di maggioranza relativa: anche con meno di un quarto dei voti (anche con il 23 % di Forza Italia del 2006), con questa legge il partito relativamente più grosso avrebbe sempre e comunque il 55% dei parlamentari. Nell’attuale situazione Berlusconi non potrebbe che vincere sempre e comunque, e diventare il padrone assoluto a vita dell’Italia, circondato da parlamentari-dipendenti nominati solo da lui e responsabili esclusivamente verso di lui. Con la vittoria del SÌ l’esito scontato delle future elezioni politiche sarebbe quello di conferire a Berlusconi i pieni poteri: non solo sarebbero nelle sue mani le leggi, le regole del gioco e l’elezione del presidente della Repubblica, ma gli si renderebbero più agevoli la modifica della Costituzione e l’elezione di tutti gli organi di garanzia. Con la legge Acerbo, Mussolini poté trasformare il suo 64,9 % dei voti nei due terzi dei seggi: una distorsione minima rispetto a quella prevista dai prossimi referendum.
È stupido, ridicolo e patetico fingere di credere che, ottenuto su un piatto d’argento un tale risultato grazie ai suoi insipienti oppositori, Berlusconi sarebbe poi disposto a ridiscutere tutto, concordando con loro una nuova legge elettorale. I suoi, del resto, l’hanno già esplicitamente dichiarato.
Si possono avere le opinioni più varie sul bipartitismo in sé, ma non si può discuterne come se la qualità dei soggetti in campo fosse irrilevante anziché assolutamente determinante.
Regalare a Berlusconi uno smisurato dominio soltanto per distruggere i partiti potenzialmente alleati e per costringere il loro elettorati a votare Pd è stato il tragico storico errore della classe dirigente veltroniana. Ripeterlo, aggravarlo e renderlo permanente significa non apprendere le lezioni della storia. Il centrosinistra e la sinistra hanno più che ampiamente dimostrato di non avere capacità di aggregazione di forze diverse in un solo polo e addirittura in una coalizione di governo. È pura farneticazione pensare che, in tempi ragionevoli, il Pd, che non riesce a riunire neppure le forze già presenti al suo interno, possa comprendere e rappresentare da solo un elettorato così variegato, dagli estremisti clericali come la Binetti fino ai comunisti di Ferrero. Il tutto, mentre Berlusconi ha già operato felicemente l’aggregazione della destra in un solo partito, il suo.
Per tutti gli altri vaneggiare di bipartitismo in questa condizioni è letale per la democrazia. Ed ancor più dissennata è l’idea di rafforzare la posizione della maggioranza parlamentare nel momento in cui quella al potere è la più forte della storia repubblicana.
Come abbiamo ampiamente sperimentato a nostre spese, il meccanismo previsto dalla legge referendaria avvantaggia sempre i sostenitori del NO a qualunque proposta di abrogazione: ora, nella battaglia contro il rafforzamento della legge-porcata, l’astensione gioca a nostro favore perché incamera anche l’astensionismo fisiologico. La posta in gioco è troppo alta per rinunciare a questo vantaggio. Perciò, chi vuole effettivamente negare questo regalo a Berlusconi e impedire il definitivo svuotamento della democrazia italiana non può limitarsi a votare NO, ma deve astenersi. Date le forze e le risorse in campo, l’eventuale vittoria del NO è estremamente improbabile: andare a votare NO servirebbe quindi soltanto a far superare il quorum e a provocare la vittoria del SÌ. I nostri concittadini, per quanto narcotizzati da un’informazione asservita, e il Pd, pur nell’assoluta insipienza di cui sta dando prova, e gli stessi alleati di Berlusconi, sono pronti a consegnare i pieni poteri e tutte le nostre libertà a uno come lui?
Nessun commento:
Posta un commento