Una delle prove più eloquenti dello stato confusionale in cui versa l’opinione pubblica è probabilmente da ravvisare nell’ampia disponibilità di una sua larga parte ad appoggiare il cavaliere nel suo ipocrita appello alla privacy.
Questa giustificazione non gli viene fornita soltanto dai suoi apologeti, ma anche da molti che non lo hanno in simpatia: per rendersene conto basta parlare con la gente. La politica è una cosa, la vita privata è un’altra, si sente dire in giro.
Naturalmente, in linea di principio si potrebbe essere d’accordo, se non fosse per due aspetti tutt’altro che irrilevanti.
Primo: il diritto alla riservatezza di un personaggio pubblico, nello specifico del presidente del Consiglio, incontra un chiaro limite nel momento in cui le prove di inadeguatezza al ruolo istituzionale che ricopre, da un punto di vista e politico e morale, siano talmente eloquenti che dovrebbero sollevare un moto generale di indignazione in qualsiasi Paese non dico più civile, ma anche soltanto un po’ meno cinico, qualunquista, servile e rassegnato del nostro.
La seconda obiezione è ancora più sostanziale: è incredibile, o semplicemente sintomatico, che larga parte dell’opinione pubblica, anche di parte non (consapevolmente) berlusconiana, fornisca su un piatto d’argento l’alibi della privacy proprio all’uomo che ha distrutto i confini tra pubblico e privato fondando su questa commistione il suo successo politico e personale.
È, questo, un errore gravissimo. Significa che stiamo dando a questo personaggio sempre e comunque il maggior vantaggio possibile: prima gli permettiamo di confondere spudoratamente pubblico e privato, poi, quando è più conveniente per lui, gli concediamo di appellarsi alla privacy separando, solo per l’occasione e per il suo tornaconto, ciò che prima lui stesso aveva unito. Gli lasciamo occultare impunemente le prove delle sue malefatte, anzi, ben lungi dal chiedergli di renderne conto gli forniamo persino noi il pretesto.
Se le cose stanno così, se Berlusconi ha il potere praticamente divino di legare e di sciogliere quando e come vuole, e se questo potere gli viene riconosciuto persino da settori dell’opinione pubblica tradizionalmente avversi, allora tanto vale che ci rassegniamo a tenercelo. Vorrà dire che una buonissima parte di questo Paese non è più soltanto cinica, qualunquista, servile e rassegnata: è anche masochista.
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