lunedì 27 luglio 2009

Politica e civiltà dell'intrattenimento

Cosa è emerso dagli scandali sessuali che da mesi si abbattono senza sosta sul presidente del Consiglio? Ora abbiamo le prove documentate che il premier ha mentito e non è cosa di poco conto, o non dovrebbe esserlo in una democrazia matura. Dal punto di vista dell’orizzonte culturale, invece, non ricaviamo da queste vicende nulla che già non sapessimo. È emerso che il premier ha confuso televisione e politica, ha cercato di mandare veline e showgirl al Parlamento europeo (e prima ancora, riuscendoci, a quello italiano), promette alle sue compagne di letto o alle sue favorite partecipazioni al Grande Fratello.

Per alcuni aspetti, è innegabile che il cavaliere appaia vittima di se stesso. L’uomo che ha promosso e incoraggiato i valori della civiltà dell’intrattenimento, fondandovi un preciso modello di persuasione politica, sconta ora gli effetti paradossali di quel modello, ma non è chiaro in che misura ne uscirà realmente danneggiato, perché una parte non trascurabile dell’opinione pubblica considera veniali i suoi peccatucci, quando non è persino disposta a tributargli segreta ammirazione.
L'inesauribile serbatoio culturale che alimenta il berlusconismo è rappresentato dalle ragazzine che ambiscono a fare le vallette o ad approdare in televisione a qualsiasi costo, non meno che da madri pronte a darle in pasto ai loro carnefici pur di arricchirsi o padri disposti a darsi fuoco se i sogni vengono infranti; è fatta da quella larga schiera di italiani che non vogliono pagare le tasse, non meno che da maschi che sono esattamente come lui e lo sarebbero anche di fatto se solo potessero. È fatto da stuoli di mediocri tanto privi di qualità quanto animati dall’ambizione più vuota e fine a se stessa, pronti a qualunque cosa, pronti ad assumere plasticamente qualunque forma, per non averne alcuna, pur di ottenere una comparsata nell’impero mediatico del padrone; è rappresentato, ancora, da servi zelanti, privi di qualunque amor di verità e interessati esclusivamente alle loro carriere, non meno che da vecchie massaie tanto ignoranti quanto razziste o da donne in “carriera” prone al piacere del capo, sia che lo soddisfino personalmente, sia che intercedano per procurargli il necessario materiale umano.

Misuriamo la diffusione di questa patologia culturale e chiediamoci: l’avremo sconfitta, quando l’uomo che oggi la incarna più di ogni altro avrà lasciato la scena politica?

Diciamolo subito: Berlusconi non è l’unico a rappresentare questo sistema: è il più sfacciato e il più impunito. Ma nasconderemmo la testa sotto la sabbia rifiutandoci di vedere che la condotta del premier e la sua giustificazione hanno un preciso correlato antropologico che è costituito, ancora una volta, da quella parte di italiani che lo vota “perché è come lui o vorrebbe essere come lui” (Sartori). È qui che dobbiamo tornare, per capire che il problema è prima culturale, poi politico. Se così non fosse, non si capirebbe più per quale motivo un premier del genere non si dovrebbe trovare isolato ed abbandonato da un’opinione pubblica irrimediabilmente indignata, che invece continua in buona parte a sostenerlo, mentre i provini per il Grande Fratello continuano a fare il pieno. È su questa commistione, che i recenti scandali dovrebbero semplicemente aver reso più palese, che si fonda quel radicato cancro che è il berlusconismo.
Denunciare un premier così indegno del ruolo che ricopre è uno dei compiti fondamentali di una democrazia, al quale non dobbiamo certamente abdicare. Ma il problema è molto più ampio. Se mai ci libereremo del cavaliere, saremo appena all’inizio. Anche in questo caso così auspicabile, avremmo licenziato un cattivo premier, ma non avremo estirpato la piaga del berlusconismo, che ha radici molto più profonde, perché culturali e basate sulla rivoluzione culturale compiuta con successo dalla televisione; così come non avremmo risolto il problema delle forze sociali e politiche che Berlusconi ha contribuito in modo decisivo a far emergere, con la Lega Nord in testa, e che oggi legiferano incontrastate. E non avremmo risolto, infine, il problema di un’opposizione impotente e della costruzione di un’alternativa politico-culturale seria e credibile.
Ciò che ci da davvero fastidio di questo personaggio, mentre di fronte al ridicolo internazionale molti, anche tra quelli inizialmente possibilisti nei suoi confronti, si affrettano a dissociarsi e a coniare slogan come “non è il mio presidente”, non è il fatto che non ci rappresenti. È il fatto che ci rappresenta. Rappresenta una certa italianità, non priva di stereotipi che da generazioni cerchiamo di scrollarci di dosso e che oggi, vergognosamente, attraverso di lui, scopriamo veri. La matrice del carico di vergogna che oggi ci portiamo addosso non sta nell’artificiosità di Berlusconi, ma nella profonda verità sociale del berlusconismo.

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