L’offensiva mediatica del cavaliere e dei suoi cortigiani ha lo scopo di propalare l’equazione populista secondo la quale, poiché nessuno è senza peccato, il premier non può essere criticato. Questa equazione prevede, tra l’altro, che moralismo e moralità vengano posti, surrettiziamente, come sinonimi.
Tra le cose più chiare che abbia letto in questi giorni sulla controffensiva mediatica del cavaliere e dei suoi cortigiani, culminata con le dimissioni del direttore di Avvenire Dino Boffo - e della quale dobbiamo senz'altro attenderci presto ulteriori sviluppi:
(…) Parte così un contrattacco mirante a delegittimare qualunque potere italiano fosse tentato di pensare un’alternativa: dagli industriali (…) alle banche (…). Il messaggio propagandistico trasmesso agli italiani è molto elementare, nella sua immoralità: né in materia sessuale, né di abuso di posizione dominante né di lealtà fiscale, troverete mai chi abbia titolo di scagliare la prima pietra contro Berlusconi. Orwellianamente parlando, siamo un popolo di maiali, dunque è logico che gi governi il più maiale”
(…) È sintomatico l’uso di questa parola [“moralisti”], con la pretesa di trascinarci tutti sullo stesso piano di Berlusconi, se osiamo criticarlo. (…) Quanto disperata e controproducente sia tale rappresaglia pianificata da Berlusconi, che ha trovato in Vittorio Feltri, con il suo cinismo, un esecutore creativo, lo dimostra proprio l’argomento logico adoperato. Non si nega più la catena di bugie inanellate dal premier a partire dalla festa di Noemi Letizia nel maggio scorso, e dalla crisi familiare con divorzio conseguitane. Ma si pretende di sostenere che gli altri, noi tutti, siamo come lui. Ugualmente peccatori, bugiardi, ricattabili. (…)
Gad Lerner (su Vanity Fair di questa settimana che, da parte mia, ho deciso dopo iniziale pregiudizio di classificare tra la stampa seria, smettendola di farlo comprare alla mia compagna per leggerlo io, come prevede il noto stereotipo di lettore maschile più volte ironicamente evocato dalla redazione).
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