martedì 3 novembre 2009

Crocifisso: Strasburgo, una sentenza basata sul diritto

Prima ancora di qualunque posizione personale sulla materia, e la mia non la nasconderò certamente, è chiaro che la sentenza di Strasburgo è forte. Ed è significativo il fatto che provenga dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo. L’accento è, appunto, sui diritti e non sulla religione e occorre ragionare su questo segnale che ci proviene dall’Europa.


Era stata Soile Lautsi, cittadina italiana di origine finlandese, a portare il caso alla Corte Europea; la donna, fin dal 2002 aveva chiesto all'istituto statale "Vittorino da Feltre" di Abano Terme (Padova), frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule, ma i suoi ricorsi davanti ai tribunali in Italia non erano valsi a nulla. Strasburgo le ha dato ragione, il governo italiano ha presentato ricorso.


A scanso di equivoci, sono convinto che quella di Strasburgo sia una sentenza basata sui diritti di tutti e di ciascuno e che in uno Stato di diritto questa dovrebbe essere la regola. La sentenza sposta il nocciolo della questione dalla tradizione culturale alla tutela delle minoranze. Il crocefisso nella scuola pubblica non deve figurare perché il secondo, e non il primo, è un requisito di una democrazia sana.


L’Italia è un Paese cattolico al 90%. Come John Stuart Mill dovrebbe averci insegnato , l’orientamento della maggioranza è sempre tutelato dal fatto stesso di essere egemone. Ecco perché uno dei compiti fondamentali di una democrazia è la tutela delle minoranze. Il vero problema non dovrebbe essere quello di tutelare la tradizione culturale largamente dominante, che in quanto tale si tutela bene da sola e non è mai a rischio: il problema è come garantire quel 10% che non si riconosce nella religione cattolica.


Questo deve essere il solo significativo problema in uno Stato di diritto; e sebbene sia innegabile che il Cristianesimo abbia un ruolo centrale nella storia europea – nel bene e nel male, aggiungiamo - Strasburgo ha deciso secondo diritto, non secondo deferenza all’opinione maggioritaria. Chiediamoci: cosa vogliamo fare del 10% che in Italia non si riconosce nella religione cattolica? La nostra Costituzione garantisce a questi cittadini esattamente i medesimi diritti degli altri; l’atteggiamento strisciante dell’opinione pubblica, prima ancora che di molta politica, invece non è molto misterioso: si adattino, o non disturbino, o in ultima analisi se ne vadano da un’altra parte. Ma questo non può essere uno Stato di diritto, e non è certamente su queste basi che poggia una democrazia matura. Una concezione basata sul diritto ci suggerisce una considerazione ovvia: l’assenza di un simbolo religioso in classe lascia ciascuno libero di credere in quello che vuole; la presenza di un tale simbolo è invece un’imposizione per chi in quel simbolo non si riconosce. Questa è un’ovvietà in uno Stato di diritto. L’Italia, purtroppo, resta altra cosa.

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