La commemorazione di uno screditato primo ministro italiano esemplifica la decadenza politica al cuore del Paese, scrive Geoff Andrews su Open Democracy. Ho tradotto un passaggio centrale.
Il decimo anniversario della morte di Craxi avrebbe potuto essere un’importante occasione di riflessione per i leader politici italiani, per guardare indietro a quel momento che spinse il sistema politico nella peggiore crisi post-bellica. Avrebbe potuto essere un’opportunità per imparare dagli errori passati e rafforzare l’impegno a portare avanti le riforme promesse dall’indagine mani pulite che mandò Craxi in esilio e gettò nel descredito la Democrazia Cristiana, una volta egemone. Se si fosse presa questa rotta, combinandola con riforme anti-mafia, avrebbe potuto essere la fondazione di una seconda repubblica più aperta e trasparente, capace di riflettere le tradizioni storicamente forti della società civile italiana.
E invece, dal centro-destra al centro-sinistra, con l’aggiunta di un messaggio di supporto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, abbiamo assistito al grottesco spettacolo della classe politica italiana impegnata nella sordida missione di riabilitare uno dei leader italiani più corrotti: un fuggitivo dalla giustizia che ha rubato una grande quantità di denaro pubblico. Si è lasciato ai soliti sospetti - Antonio Di Pietro, il magistrato che condusse le indagini di “mani pulite”, ma il cui partito controlla oggi meno del 10% dei voti, Beppe Grillo, Marco Travaglio e vari intellettuali e attivisti – di provare a mettere le cose al loro posto. Mentre la degenerata classe politica italiana, ancora una volta, si riaggrega, queste sono comunque voci sempre più marginali.
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