La recente vicenda di una cittadina romena ridotta in schiavitù da un'anziana, a Lainate, non evocherebbe altro che squallore, se non fosse che si presta ad essere letta come una sorta di aberrante compendio di una patologia sociale più ampia. Vediamo. La vecchietta, in apparenza “rispettabile” e “perbene”, non era esattamente una poveretta, ma una pensionata benestante, in grado di dotare la sua villetta di un sistema di telecamere a circuito chiuso che le permetteva di monitorare dalla sua stanza ogni spostamento della donna, tenuta segregata in uno scantinato. La quale, da parte sua, non ha cercato di reagire o di fuggire perché riteneva credibili le minacce della sua carceriera di farla espellere. Le intimidazioni sono state efficaci anche perché sembra che la donna ignorasse di essere cittadina comunitaria. Infatti, quando è stata sequestrata, la Romania non era ancora entrata in Europa. Probabilmente nessuno le ha spiegato che ha dei diritti e lei, trovando un ambiente ostile, si deve essere convinta di non averne. Non glielo avevano spiegato nemmeno i vicini che venivano a casa della sua aguzzina e che potrebbero essere stati a conoscenza del trattamento disumano. Anche loro adesso devono chiarire ai carabinieri la propria posizione: l’ipotesi di reato è quella di connivenza.
In questa storia di ordinario razzismo, se i tratti maniacali della vecchietta potrebbero indurre la tentazione di invocare l’eccezionalità del caso, ricorrono invece una serie di elementi comuni ad altri episodi, che la qualificano piuttosto come la punta di un iceberg, una tessera tra le tante di una patologia del risentimento che sempre più sta ridisegnando la psicologia collettiva del nostro Paese.
2 commenti:
bell'articolo pierpa,
bisogna parlarne,parlarne, parlarne
perchè quello che sto vedendo(sic) da lontano mi fa sentire "salva" in terra straniera
siamo tutti stranieri e siamo tutti mischiati
un saluto
sima
(l'amica di fra)
Ciao Simona, è bello avere tue notizie! Anch'io penso che la cosa più imbarazzante in certe situazioni sia il silenzio. Così, nel mio piccolissimo, provo a parlarne. Conscio che non servirà a cambiare le cose, ma è sempre meglio che far finta di niente. E poi, rassegnarsi è la prospettiva peggiore, sta ad ognuno di noi immaginare e costruire qualcosa di diverso.
Un abbraccio, P.P.
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