Secondo Jeremy Bentham, l’individuo agisce in modo da massimizzare il proprio vantaggio personale; è il legislatore che deve mettergli degli argini, a tutela dell’interesse generale. Questa formulazione di Bentham non ha finalità prescrittive nei confronti del singolo. Non c’è ragione che l’individuo si limiti da sé, perchè cercando il massimo vantaggio personale egli agisce in modo conforme alla propria natura. Allora toccherà a chi ha il compito di fare le leggi di limitare questa naturale tendenza dell’individuo, solo nella misura in cui vada a discapito dell’eguale e simmetrico diritto degli altri individui.
Alla base di questa concezione c’è una visione realistica dell’uomo: ciascuno tende a prendersi tutta la torta. Il legislatore deve riportare l’intero dispositivo sociale verso una ripartizione più equa, facendo sì che a nessuno tocchi una fetta spropositata, perché allora a qualcun altro ne toccherebbe una troppo piccola.
La filosofia benthamiana non è esente da critiche (è celebre quella di Marx, che definì il caposcuola dell’utilitarismo un “oracolo del senso comune borghese del XIX secolo, arido, pedante e chiacchierone banale”). Ma contiene almeno un’intuizione profonda: la democrazia è anzi tutto mediazione tra le legittime istanze e ambizioni dell’individuo e la tutela dell’interesse generale.
Nelle democrazie rappresentative, in particolare, il potere legislativo compete al parlamento. Il quale, se accettiamo la concezione di Bentham, dovrebbe promulgare leggi che non permettano a un individuo o ad alcuni individui di accrescere a dismisura il proprio potere personale.
Ma cosa succede quando proprio il legislatore, e cioè il parlamento, è ricondotto al volere di uno solo?
Il problema non è Berlusconi in sé, quanto la mancanza di adeguati meccanismi di compensazione, che dovrebbero impedire a un singolo individuo di utilizzare il parlamento per perseguire scopi personali. La situazione italiana mostra in modo eloquente che la democrazia può essere rivolta contro se stessa (e contro l’interesse comune).
Analogamente, il guaio non è il Lodo Alfano, che ha messo le quattro cariche più alte dello Stato al riparo da qualunque incriminazione per tutta la durata del mandato. Perché quel provvedimento potrebbe tranquillamente essere letto come una tutela delle istituzioni, e non delle personalità che in un dato momento le rappresentano e, in questo senso, essere considerato persino condivisibile.
Se non fosse che la maggioranza lo ha fatto approvare in tutta fretta per mettere al riparo non la credibilità delle istituzioni, ma il proprio premier da una grana che questa volta si preannunciava quanto mai insidiosa per il Cavaliere: il processo Mills, che lo vedeva accusato di corruzione in atti giudiziari. Se non fosse che il Parlamento è ridotto a strumento privato, in ultima analisi a possesso personale. Se non fosse che tutto questo riflette una concezione autocratica del potere che distrugge la prerogativa essenziale di una democrazia ben funzionante: la vigilanza sulla ripartizione tendenzialmente equa di quella torta, che può avvenire a condizione che chi deve legiferare non sia asservito agli interessi personali.
(Fonte della foto: ildemocratico.blogspot.com)
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