Ieri c’è stato il blocco dell’attività didattica in centinaia di licei italiani e un’ondata di scioperi e manifestazioni sono previsti fino a giovedì, giorno dello sciopero generale indetto da Ggil, Cisl e Uil. L’”onda anomala” non si arresta, investe le scuole di ogni ordine e grado e non ha, né deve avere, un colore politico. Lo sanno benissimo anche gli studenti, che non vogliono farsi strumentalizzare; che hanno capito che è in gioco il futuro della scuola, la sua fondamentale funzione democratica. Certo, è anche, largamente, una questione politica (lo è nell’essenza, e come potrebbe non esserlo?). Ma non è una questione di parte, non di colore politico. Non è un partito, non è una colazione ad opporsi al decreto Gelmini. È la società civile.
Quella società civile consapevole che la scuola italiana di problemi ne ha tanti, ma il decreto Gelmini non li risolve: li acuisce. Basterebbe leggere con attenzione i risultati dell’indagine Ocse-Pisa, che dal 2000 monitora e compara il livello di competenza degli studenti di 57 paesi (i 30 dell’OCSE più i 27 paesi partner). Il test sul quale si basa l’indagine valuta le competenze di lettura, matematiche e scientifiche, restituendo un quadro poco lusinghiero per la scuola italiana, che si colloca mediamente a ridosso del quarantesimo posto e comunque al di sotto della media OCSE.
Questa indagine è citatissima, eppure sono poche le riflessioni critiche che ne hanno messo a fuoco le implicazioni. Da una parte è stata utilizzata per avallare un allarmismo persino eccessivo, senza tuttavia che sui risultati sia nato in Italia un dibattito serio. La sostanza è che la scuola italiana non appare in grado di modificare le disuguaglianze in ingresso, e tende anzi a riconfermarle. Ora, è lecito domandarsi se per risolvere questo problema la via giusta sia proprio quella dei tagli, del maestro unico, dell’accentramento delle competenze didattiche. O se non sarebbe piuttosto auspicabile esattamente il contrario. Investire di più nella scuola e sulla scuola. Favorire la presenza di una molteplicità di figure, indispensabili per educare nella società della complessità. Studiare le lingue in modo più serio, con l’ausilio di laboratori meglio attrezzati.
Il decreto Gelmini verosimilmente passerà, perché può contare sull’appoggio di una maggioranza che appare più divisa del previsto, ma comunque solida.
Ma il problema vero non è solo il decreto, così come non è solo la finanziaria. Perché sia il decreto che la finanziaria sono gli strumenti di una precisa volontà politica, che, coerentemente con i propri presupposti, intende abbandonare la scuola pubblica a se stessa, svuotandola della funzione alla quale, per quanto malandata, non è mai venuta meno: quella di formare il cittadino, di educare al senso critico. Non è solo ai tagli che bisogna opporsi, ma a un intero disegno. Reso ancora più mqanifesto dal fatto che, mentre affossa la scuola pubblica, il governo salva le banche e le grandi industrie.
Al di là del lavoro sul breve termine, occorrerà dunque lavorare anche in prospettiva, per difendere le prerogative della scuola pubblica da un attacco che, in ogni caso, non si arresterà facilmente. La movimentazione deve farsi corale. I risultati non sono dietro l’angolo, ma la consapevolezza che si sta aggregando intorno alla difesa della scuola è un primo passo e un segnale importante.
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