sabato 20 dicembre 2008

Russia e Georgia tra informazione e controinformazione



Il terzo round di negoziati sulla crisi russo-georgiana, svoltosi a Ginevra nelle giornate di mercoledì e giovedì, ha segnato solo piccoli progressi sulla via della soluzione di una controversia le cui ferite non si rimargineranno in fretta. I colloqui sotto la triplice egida di Unione europea, Nazioni Unite e Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) riprenderanno a febbraio. Probabilmente in Europa ci riesce davvero difficile capire la vera natura delle ragioni tanto della Russia che della Georgia, ed è anche questa incomprensione delle radici profonde di una conflittualità latente che ha portato la situazione a degenerare. Una testimonianza di questa fondamentale incomprensione è fornita dal modo in cui la guerra è stata presentata fin dall’inizio. Si sono formulate infatti tesi egualmente unilaterali.

informazione e controinformazione. Sul conflitto di agosto tra Russia e Georgia l’informazione ufficiale ha presentato la Russia come responsabile, la controinformazione viceversa ha sottolineato l’aggressione della Georgia nell’Ossezia del Sud arrivando all’estremo di presentare la reazione della Russia quasi come una guerra difensiva.

In generale, sebbene l’utilità della controinformazione sia vitale e indiscutibile, esiste una tendenza a una sorta di giudizio compensativo, per cui ci ritroviamo spesso con un tesi (quella dell’informazione ufficiale) e un’antitesi (quella della controinformazione) senza riuscire a guadagnare una visione sistemica, l’unica in grado di portare una reale comprensione.

Questo vale a maggior ragione per i conflitti che hanno una radice geopolitica e che non possono essere compresi senza considerare le ragioni di entrambi gli attori interessati.

Tornando al conflitto tra Russia e Georgia, è chiaro che la miccia che ha innescato la fulminea guerra di agosto è stata accesa dal turbolento presidente georgiano Saakashvili. Ma limitare l’analisi a questa constatazione si traduce in una semplificazione speculare a quella che vuole dipingere la Russia sic et simpliciter come aggressore ispirato da una mera politica di potenza.

La controinformazione non è la verità, ma l’altra faccia della verità. Quella più trascurata o passata sotto silenzio, che quindi deve essere sottolineata. Ma poi bisogna riguadagnare una visione d’insieme.

Mi sembra che non ci siano dubbi sul fatto che la ragionevolezza di fondo delle motivazioni di entrambi gli attori di qualunque conflitto geopolitico, sia il necessario punto di partenza e, di più, l’orizzonte da tenere sempre presente per evitare di incappare in opposte forzature o in spiegazioni monocausali. Quali sono, dunque, le ragioni delle due parti in causa?

le ragioni della georgia – È stato Stalin, per spezzare il nazionalismo dei suoi compatrioti (il dittatore era originario della Georgia), a ritagliare nel 1923 un’autonomia speciale per osseti e abkhazi nel territorio georgiano, aprendo la strada a un contenzioso che porta fino ad oggi. Lo statuto delle due regioni, comunque, è diverso: l’Abkhazia è una repubblica autonoma costituita già in epoca sovietica, al contrario dell’Ossezia del Sud, che è divenuta oggetto di un aspro conflitto militare a partire dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica per staccarsi dalla Georgia. La regione, comunque, prima del conflitto apparteneva formalmente alla Georgia e per la comunità internazionale appartiene ancora alla Georgia, le cui ragioni non sono soltanto di ordine giuridico: come leggeremo più avanti da testimonianze dirette, le genti della Georgia e dell’Ossezia hanno avuto dei rapporti molto stretti nel tempo, allentati soltanto a partire dal 1991.

le ragioni della russia – Da parte sua la Russia, che nell’era di Putin è tornata a coltivare ambizioni di grande potenza, soffre di una legittima sindrome di accerchiamento per il tentativo della Nato di espandere sempre più il proprio raggio d’azione a ridosso dei suoi confini. In questo quadro gli Stati Uniti di Bush si sono inseriti con pochissimo tatto e seguendo esclusivamente una logica di contrapposizione, mirando a trarre il massimo vantaggio dalla situazione. Per altro con scarsa lungimiranza. È emblematico proprio lo zelante appoggio fornito alla causa dell’adesione della Georgia alla Nato, che ha molto contribuito a fomentare gli ardori di Saakashvili.

Credo che per noi europei sia difficile capire a fondo la nuova identità russa, e ancor più difficile capire la costellazione di identità che si muovono ai margini dell’ex-impero e che si definiscono largamente proprio in contrapposizione ad esso.

Un modo per cercare di capire qualcosa di più è in primo luogo ispirarci allo sforzo costante di comprendere che in ogni conflitto di rilevanza geopolitica esistono sempre delle valide “ragioni” da ambo le parti. Un altro modo, complementare al primo, è andare oltre l’informazione ufficiale e tendere l’orecchio per ascoltare la narrazione di chi il conflitto lo vive dall’interno. Per questo motivo ho tradotto la fonte che propongo di seguito (il testo originale è in inglese ed è stato pubblicato dall’Institute for War and Peace Reporting), un articolo di Koba Liklikadze, giornalista di Radio Liberty a Tbilisi. Un articolo che ho trovato chiarificatore, perché racconta la guerra attraverso la voce di chi la subisce ed ha visto, e ancora vede, la propria vita improvvisamente sconvolta.

Essendo l’articolo piuttosto lungo (ed essendomi a mia volta dilungato) lo pubblico in due parti. Buona lettura!


Il dietrofront dei russi sul ritiro dai villaggi georgiani testimonia la fragilità della pace.

Koba Liklikadze da Jria

Georgia e Russia alla fine della scorsa settimana sono quasi arrivate a un nuovo scontro per via di un villaggio nell’angolo occidentale dell’ Ossezia del Sud.

Le truppe russe si erano ritirate il 12 dicembre dal villaggio etnico georgiano di Perevi, dove erano rimaste per più di quattro mesi, nonostante la richiesta della Georgia e dell’Unione Europea di andarsene. Ma la sera stessa vi hanno fatto ritorno, dopo che un’unità speciale di polizia georgiana era stata spiegata nella zona.

Dopo alcune manovre minacciose da ambo le parti e colloqui che sono durati fino al mattino successivo, i russi hanno cacciato la polizia georgiana da Perevi e hanno rifiutato a una delegazione di ambasciatori dell’Unione Europea il permesso di entrare nel villaggio. L’incidente aveva preoccupato la gente del posto, le cui vite sono state sconvolte dalla crisi con la Russia.

Nel vicino villaggio di Jria, il settantenne Parviz Bakradze siede a casa vicino a una stufa di ferro. La sua casa si trova a duecento metri di distanza da Perevi, dove vivono molti dei suoi parenti e amici. I villaggi osseti di Sinaguri e Jalabeti si trovano a due chilometri di distanza.

Ma Bakradze sostiene che i villaggi georgiani e osseti non comunicano come facevano prima che esplodesse il conflitto per l’Ossezia del Sud nel 1991.

“Eravamo soliti far festa insieme, con le braccia sulle spalle gli uni degli altri, afferma Bakradze. "Non avrebbero mai celebrato un matrimonio senza invitarci. Non c’era un solo matrimonio o funerale senza che fossero presenti almeno la metà degli abitanti di Perevi"

Bakradze dice di non conoscere molto della “politica che conta”, ma è convinto che entrambe le parti abbiano le loro responsabilità nelle recenti tensioni.

"Io la vedo così," dice. "I russi dicono che soltanto una piccola forza di polizia georgiana avrebbe dovuto prendere il loro posto dopo il ritiro da Perevi. Invece, decine di vetture che trasportavano soldati e poliziotti georgiani, armate fino ai denti, hanno fatto il loro ingresso nel villaggio e i russi non l’hanno presa bene.”

"Inoltre devono essersi spaventati, perché i villaggi osseti e [la città dell’Ossezia del Sud di] Java si trovano a un passo da qui.” La moglie di Bakradze, Neli, si unisce alla conversazione. É arrabbiata perche la sua famiglia, che ha sempre vissuto duramente in un villaggio di montagna non molto prospero, ora deve preoccuparsi anche della pace.

"Possono spararmi con le loro armi, il mio unico desiderio è vedere la gente vivere in pace," dice mentre, mentre aggiunge legna alla stufa. "Non c’e pace, perché i governanti non sono in buona fede. Scrivilo e pubblicalo, ma che uso verrà fatto di quello che ti sto dicendo?”

Ora è calata la notte e la temperature è precipitata a dieci gradi sotto lo zero. (CONTINUA…)

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