
Berlusconi l’ottimista, che fino ad oggi ha combattuto strenuamente contro il dilagante pessimismo diffuso dai media di sinistra; che fino ad oggi si è instancabilmente prodigato a spiegare a casalinghe poco avvedute come fare la spesa; lui che non ha mai smesso di incoraggiare famiglie e imprese ed esortato i consumatori a continuare a comprare con fiducia, senza indulgere a inutili lamentele come la mancanza di soldi o le social card vuote; proprio lui, l’infaticabile nemico del pessimismo e del comunismo, all’occorrenza anche del relativismo. Insomma, persino il Cavaliere alla fine si è dovuto arrendere e, questa sì, proprio non è una buona notizia per il nostro Paese già provato. Adesso è ufficiale, la crisi esiste, lo ha ammesso Berlusconi in persona, altrimenti, immaginiamo, giammai starebbe considerando seriamente di vendere l’asso brasiliano del Milan Kakà al Manchester City per la cifra record di 110 milioni di euro, offerti da Mansour bin Zayed Al Nahyan, lo sceicco che ha acquistato la societ’ inglese.
Succede in Italia, il Paese nel quale la commistione tra calcio e politica è inestricabile. Su La Repubblica di ieri Gianni Mura scriveva significativamente: “Per Berlusconi il calcio è una passione, ma anche uno strumento di consenso, non da oggi (…) Lo sport, il calcio in particolare, è uno dei collanti sociali a presa più rapida, questo Berlusconi lo sa bene”. Se il Parlamento è ridotto a un giocattolo, come minimo un gioco può essere un fattore politico decisivo. Intanto, di fronte alla prospettiva di veder partire il proprio beniamino, il popolo rossonero insorge. Quello italiano invece, ormai irrimediabilmente narcotizzato, si divide in buona parte tra “Affari tuoi” e “Il Grande Fratello 9”. Senza dimenticare, naturalmente, che stasera c’è il posticipo.
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