Pubblico due interventi di Gim Cassano apparsi su Spazio lib-lab, che analizzano diffusamente e motivano le ragioni e l’opportunità del voto a Sinistra e Libertà alle elezioni Europee di questo fine settimana.
Voto dannoso, inutile, utile.
Si moltiplicano in questi ultimi giorni di campagna elettorale gli appelli al cosiddetto “voto utile”.
Da parte del PD: qui si tratta della ripetizione di un vecchio copione, già messo in scena 13 mesi fa in occasione delle ultime politiche.
Ed ora, anche da parte del PdL, il cui capo teme che la sua popolarità sia, da qualche tempo, in calo. Naturalmente, ciò viene imputato al complotto, oramai mondiale, di una stampa sobillata dalla “sinistra”, che lavora per gonfiare il Noemigate e per screditare in ogni modo l’immagine del sultano. In altre parole, Pais, Independent, Guardian, Times, Financial Times, sarebbero tutti fogli al soldo di una congiura diretta contro di Lui.
Ma gli scricchiolii del potere personale del cavaliere non stanno nel Noemigate in sé: delle vicende personali dell’illibata signorina Letizia e di papi, molto poco mi interessa, e molto poco interessa agli italiani.
Interessa invece, e non poco, agli italiani oltre che ai suoi figli, sulla cui testa quotidianamente giura, il fatto che a governarci sia un signore che ha fatto della menzogna un’arte. Che non mente solo sulle sue vicende personali; ha mentito sui suoi rapporti con il sig. Letizia, che non pare essere il più commendevole dei possibili amici per un Presidente del Consiglio; ha mentito, protetto dal lodo Alfano, sui suoi rapporti con un certo avvocato Mills; ha mentito sulla vicenda delle società di comodo di “All Iberian” (dapprima dichiarata come mai esistente, e poi regolarmente presentatasi a fruire dello scudo fiscale); ha mentito sul cosiddetto “Contratto con gli Italiani”; ha mentito sull’emergenza-rifiuti a Napoli; e su che altro ancora?
In compenso, è stato sincero sul dire cosa egli pensi del Parlamento, della Costituzione, della libertà di informazione: inutile il primo, carta straccia la seconda, dannosa la terza.
Interessa agli italiani che il privato (o meglio, un certo tipo di privato) diventi fatto pubblico: interessano i criteri di scelta dei candidati alla Presidenza di Regioni od al Parlamento Europeo, i criteri di nomina di deputati, senatori, ministri; interessano le leggi che sono servite a “salvare” Rete 4, od a prorogare ancora l’entrata in vigore della “class action” ed a impedirne la retroattività; gli aerei di Stato utilizzati per trasportare i giullari e le cortigiane del sultano; i denari pubblici utilizzati per favorire i capitani coraggiosi (coi soldi nostri) di Alitalia.
Interessa agli italiani che non si sia fatto nulla per porre in atto interventi strutturali per arginare ed attutire gli effetti della crisi economica; che i famosi fondi FAS, destinati alle aree a basso grado di sviluppo, siano stati destinati ad altri scopi, tra i quali l’estensione dell’esenzione ICI; che non vi sia una qualsivoglia visione di politica industriale, limitandosi a proclamare che il peggio è passato, e confidando, ancora una volta, nello stellone e nella speranza che le cose si aggiustino da sole.
Interessa agli italiani il fatto che sia stata introdotta una riforma scolastica che deprime la scuola pubblica, che non si trovi la volontà, prima ancora che le risorse, per assicurare un minimo di protezione a chi non ne ha alcuna, mentre si regalano soldi al dittatore Gheddafi e si avvia una riforma pseudo-federale il cui costo è stato dichiarato come sconosciuto da parte dello stesso ministro Tremonti.
Ed interessa, ancora, agli italiani, che si stia cercando di avviare un piano nucleare che non porterà neanche sviluppo scientifico e di ricerca, in quanto si tratta di importare, a caro prezzo, dalla Francia know-how e tecnologie ormai più che mature ed obsolete.
Tutto ciò, in un Paese nel quale la libertà d’informazione è una chimera, non è oggetto di dibattito pubblico anche perché la voce del principale partito di opposizione è troppo incerta, altalenante e contradditoria, e viene solo confusamente avvertito dall’opinione pubblica.
Ed allora, un voto al PdL non è un voto utile: è solo un voto dannoso. Dannoso perché rivolto ad accettare un regime da basso impero, nel quale gli appetiti del sultano diventano fatto pubblico e legge.
Dall’ opposizione del PD ci arriva l’altro richiamo al “voto utile”. Ma, se l’evidenza empirica ha in questo Paese ancora un significato, gli ultimi tredici mesi ci hanno mostrato che mai voto fu più inutile. Inutile a costruire un’opposizione, che d’altra parte non si è mai voluta condurre. Inutile a costruire un’alternativa, avendo fatto il vuoto attorno a sé. Inutile a difendere la democrazia, pronunciandosi per il SI al Referendum elettorale, ed avendo votato -anzi, proposto per primo- la legge elettorale europea e poi quella, ancor più ignobile, sul rimborso elettorale.
Utile solo a realizzare il proprio monopolio sulla minoranza, omologando a sé, o cercando di cancellare, le altre forze di opposizione, rivedendo così, in funzione conservatrice, l’antica massima: “pas d’ennemis à gauche”.
Ed allora, la possibilità di individuare un voto non dannoso e non inutile, va cercata altrove.
Non riesco ad individuarla nei radicali, che tuonano -oggi- contro la partitocrazia, dopo aver contribuito per anni a fornire l’alibi liberale ad una destra che identificava liberalismo e liberismo (quando quest’ultimo era di moda), e definiva come liberale la propria propensione all’evasione fiscale; dopo aver affondato l’esperienza della “Rosa nel Pugno”; dopo aver trattato con Veltroni la nomina dei propri attuali deputati e senatori. E che inseguono il sogno di una democrazia maggioritaria di tipo anglosassone in un Paese che ha ben altre radici storiche e culturali. Che incarnano anch’essi un modello carismatico di partito-persona, che confligge in modo stridente con la possibilità di allargare l’area politica nella quale essi si collocano.
Non riesco ad individuarla nell’altro partito-persona: quello di Di Pietro. Che, se in questi mesi, ha il merito di esser stato in molte occasioni l’unica voce di opposizione, non può rappresentare, ai miei occhi, la prospettiva politica per la soluzione dei problemi di questo Paese. L’Italia non ha bisogno di aggiungere populismo a populismo; anche se il primo si oppone al secondo, non è questa la strada per ammodernare il Paese e salvare la democrazia. La giusta rivendicazione di principii etici nella politica non può sfociare in affermazioni giustizialiste che facciano dimenticare il garantismo, ed in affermazioni demagogiche che non ottengono altro risultato che quello di alimentare proprio quell’antipolitica sulla quale, in definitiva, cresce il berlusconismo. Resta, infine, non chiara la posizione del partito di Di Pietro sulle principali questioni economiche e sociali che oggi toccano profondamente il Paese.
E non è neanche possibile individuarla in una sinistra autodefinitasi anticapitalista, nostalgica del passato e di un mondo diviso in due e cancellato dalla Storia. Oggi si sono aperte nuove sfide e nuove conflittualità, che non possono esser interpretate in termini deterministici; e men che mai, nei termini di un determinismo arcaico.
Si moltiplicano in questi ultimi giorni di campagna elettorale gli appelli al cosiddetto “voto utile”.
Da parte del PD: qui si tratta della ripetizione di un vecchio copione, già messo in scena 13 mesi fa in occasione delle ultime politiche.
Ed ora, anche da parte del PdL, il cui capo teme che la sua popolarità sia, da qualche tempo, in calo. Naturalmente, ciò viene imputato al complotto, oramai mondiale, di una stampa sobillata dalla “sinistra”, che lavora per gonfiare il Noemigate e per screditare in ogni modo l’immagine del sultano. In altre parole, Pais, Independent, Guardian, Times, Financial Times, sarebbero tutti fogli al soldo di una congiura diretta contro di Lui.
Ma gli scricchiolii del potere personale del cavaliere non stanno nel Noemigate in sé: delle vicende personali dell’illibata signorina Letizia e di papi, molto poco mi interessa, e molto poco interessa agli italiani.
Interessa invece, e non poco, agli italiani oltre che ai suoi figli, sulla cui testa quotidianamente giura, il fatto che a governarci sia un signore che ha fatto della menzogna un’arte. Che non mente solo sulle sue vicende personali; ha mentito sui suoi rapporti con il sig. Letizia, che non pare essere il più commendevole dei possibili amici per un Presidente del Consiglio; ha mentito, protetto dal lodo Alfano, sui suoi rapporti con un certo avvocato Mills; ha mentito sulla vicenda delle società di comodo di “All Iberian” (dapprima dichiarata come mai esistente, e poi regolarmente presentatasi a fruire dello scudo fiscale); ha mentito sul cosiddetto “Contratto con gli Italiani”; ha mentito sull’emergenza-rifiuti a Napoli; e su che altro ancora?
In compenso, è stato sincero sul dire cosa egli pensi del Parlamento, della Costituzione, della libertà di informazione: inutile il primo, carta straccia la seconda, dannosa la terza.
Interessa agli italiani che il privato (o meglio, un certo tipo di privato) diventi fatto pubblico: interessano i criteri di scelta dei candidati alla Presidenza di Regioni od al Parlamento Europeo, i criteri di nomina di deputati, senatori, ministri; interessano le leggi che sono servite a “salvare” Rete 4, od a prorogare ancora l’entrata in vigore della “class action” ed a impedirne la retroattività; gli aerei di Stato utilizzati per trasportare i giullari e le cortigiane del sultano; i denari pubblici utilizzati per favorire i capitani coraggiosi (coi soldi nostri) di Alitalia.
Interessa agli italiani che non si sia fatto nulla per porre in atto interventi strutturali per arginare ed attutire gli effetti della crisi economica; che i famosi fondi FAS, destinati alle aree a basso grado di sviluppo, siano stati destinati ad altri scopi, tra i quali l’estensione dell’esenzione ICI; che non vi sia una qualsivoglia visione di politica industriale, limitandosi a proclamare che il peggio è passato, e confidando, ancora una volta, nello stellone e nella speranza che le cose si aggiustino da sole.
Interessa agli italiani il fatto che sia stata introdotta una riforma scolastica che deprime la scuola pubblica, che non si trovi la volontà, prima ancora che le risorse, per assicurare un minimo di protezione a chi non ne ha alcuna, mentre si regalano soldi al dittatore Gheddafi e si avvia una riforma pseudo-federale il cui costo è stato dichiarato come sconosciuto da parte dello stesso ministro Tremonti.
Ed interessa, ancora, agli italiani, che si stia cercando di avviare un piano nucleare che non porterà neanche sviluppo scientifico e di ricerca, in quanto si tratta di importare, a caro prezzo, dalla Francia know-how e tecnologie ormai più che mature ed obsolete.
Tutto ciò, in un Paese nel quale la libertà d’informazione è una chimera, non è oggetto di dibattito pubblico anche perché la voce del principale partito di opposizione è troppo incerta, altalenante e contradditoria, e viene solo confusamente avvertito dall’opinione pubblica.
Ed allora, un voto al PdL non è un voto utile: è solo un voto dannoso. Dannoso perché rivolto ad accettare un regime da basso impero, nel quale gli appetiti del sultano diventano fatto pubblico e legge.
Dall’ opposizione del PD ci arriva l’altro richiamo al “voto utile”. Ma, se l’evidenza empirica ha in questo Paese ancora un significato, gli ultimi tredici mesi ci hanno mostrato che mai voto fu più inutile. Inutile a costruire un’opposizione, che d’altra parte non si è mai voluta condurre. Inutile a costruire un’alternativa, avendo fatto il vuoto attorno a sé. Inutile a difendere la democrazia, pronunciandosi per il SI al Referendum elettorale, ed avendo votato -anzi, proposto per primo- la legge elettorale europea e poi quella, ancor più ignobile, sul rimborso elettorale.
Utile solo a realizzare il proprio monopolio sulla minoranza, omologando a sé, o cercando di cancellare, le altre forze di opposizione, rivedendo così, in funzione conservatrice, l’antica massima: “pas d’ennemis à gauche”.
Ed allora, la possibilità di individuare un voto non dannoso e non inutile, va cercata altrove.
Non riesco ad individuarla nei radicali, che tuonano -oggi- contro la partitocrazia, dopo aver contribuito per anni a fornire l’alibi liberale ad una destra che identificava liberalismo e liberismo (quando quest’ultimo era di moda), e definiva come liberale la propria propensione all’evasione fiscale; dopo aver affondato l’esperienza della “Rosa nel Pugno”; dopo aver trattato con Veltroni la nomina dei propri attuali deputati e senatori. E che inseguono il sogno di una democrazia maggioritaria di tipo anglosassone in un Paese che ha ben altre radici storiche e culturali. Che incarnano anch’essi un modello carismatico di partito-persona, che confligge in modo stridente con la possibilità di allargare l’area politica nella quale essi si collocano.
Non riesco ad individuarla nell’altro partito-persona: quello di Di Pietro. Che, se in questi mesi, ha il merito di esser stato in molte occasioni l’unica voce di opposizione, non può rappresentare, ai miei occhi, la prospettiva politica per la soluzione dei problemi di questo Paese. L’Italia non ha bisogno di aggiungere populismo a populismo; anche se il primo si oppone al secondo, non è questa la strada per ammodernare il Paese e salvare la democrazia. La giusta rivendicazione di principii etici nella politica non può sfociare in affermazioni giustizialiste che facciano dimenticare il garantismo, ed in affermazioni demagogiche che non ottengono altro risultato che quello di alimentare proprio quell’antipolitica sulla quale, in definitiva, cresce il berlusconismo. Resta, infine, non chiara la posizione del partito di Di Pietro sulle principali questioni economiche e sociali che oggi toccano profondamente il Paese.
E non è neanche possibile individuarla in una sinistra autodefinitasi anticapitalista, nostalgica del passato e di un mondo diviso in due e cancellato dalla Storia. Oggi si sono aperte nuove sfide e nuove conflittualità, che non possono esser interpretate in termini deterministici; e men che mai, nei termini di un determinismo arcaico.
Sinistra e Libertà rappresenta oggi la scommessa dell’unica formazione politica che assommi in sé tutti i principii, nessuno escluso, sui quali si fonda la nostra Costituzione: libertà, democrazia, equità.
L’Italia ha bisogno di una “nuova” Sinistra, che non guardi indietro, ma che voglia e sappia interpretare le esigenze di libertà, di democrazia, di equità in una società che è cambiata profondamente rispetto ad un passato neanche tanto lontano nel tempo. E che sappia combattere la battaglia, prima di tutto culturale , e poi politica, per sconfiggere l’addormentamento delle coscienze e dello spirito critico che ha caratterizzato gli ultimi quindici anni.
Per questo, vi è bisogno di atteggiamenti empirici (in termini filosofici), e di esperienze, storie, culture, punti di vista, diversi e plurali, che sappiano far capire come senza libertà non vi sia democrazia, e che senza democrazia non possa esservi equità. Ma che affermino anche che, se questo è il percorso storico e culturale che le grandi democrazie hanno compiuto in oltre due secoli, è vero anche il percorso inverso: le libertà individuali e civili non sono tali ed effettive se non sono sostenute da condizioni economiche e sociali, oltre che giuridiche, che ne consentano e concretizzino il pieno esercizio.
Queste sono le ragioni per le quali il voto per “Sinistra e Libertà” mi pare necessario, oltre che utile, a dare a quella che è stata chiamata “l’Italia che non ci sta” a veder degenerare in satrapia la nostra democrazia, la speranza e la possibilità di risalire la china.
Gim Cassano, 04-06-2009
L’Italia ha bisogno di una “nuova” Sinistra, che non guardi indietro, ma che voglia e sappia interpretare le esigenze di libertà, di democrazia, di equità in una società che è cambiata profondamente rispetto ad un passato neanche tanto lontano nel tempo. E che sappia combattere la battaglia, prima di tutto culturale , e poi politica, per sconfiggere l’addormentamento delle coscienze e dello spirito critico che ha caratterizzato gli ultimi quindici anni.
Per questo, vi è bisogno di atteggiamenti empirici (in termini filosofici), e di esperienze, storie, culture, punti di vista, diversi e plurali, che sappiano far capire come senza libertà non vi sia democrazia, e che senza democrazia non possa esservi equità. Ma che affermino anche che, se questo è il percorso storico e culturale che le grandi democrazie hanno compiuto in oltre due secoli, è vero anche il percorso inverso: le libertà individuali e civili non sono tali ed effettive se non sono sostenute da condizioni economiche e sociali, oltre che giuridiche, che ne consentano e concretizzino il pieno esercizio.
Queste sono le ragioni per le quali il voto per “Sinistra e Libertà” mi pare necessario, oltre che utile, a dare a quella che è stata chiamata “l’Italia che non ci sta” a veder degenerare in satrapia la nostra democrazia, la speranza e la possibilità di risalire la china.
Gim Cassano, 04-06-2009
Voto dannoso, inutile, utile.
Si moltiplicano in questi ultimi giorni di campagna elettorale gli appelli al cosiddetto “voto utile”.
Da parte del PD: qui si tratta della ripetizione di un vecchio copione, già messo in scena 13 mesi fa in occasione delle ultime politiche.
Ed ora, anche da parte del PdL, il cui capo teme che la sua popolarità sia, da qualche tempo, in calo. Naturalmente, ciò viene imputato al complotto, oramai mondiale, di una stampa sobillata dalla “sinistra”, che lavora per gonfiare il Noemigate e per screditare in ogni modo l’immagine del sultano. In altre parole, Pais, Independent, Guardian, Times, Financial Times, sarebbero tutti fogli al soldo di una congiura diretta contro di Lui.
Ma gli scricchiolii del potere personale del cavaliere non stanno nel Noemigate in sé: delle vicende personali dell’illibata signorina Letizia e di papi, molto poco mi interessa, e molto poco interessa agli italiani.
Interessa invece, e non poco, agli italiani oltre che ai suoi figli, sulla cui testa quotidianamente giura, il fatto che a governarci sia un signore che ha fatto della menzogna un’arte. Che non mente solo sulle sue vicende personali; ha mentito sui suoi rapporti con il sig. Letizia, che non pare essere il più commendevole dei possibili amici per un Presidente del Consiglio; ha mentito, protetto dal lodo Alfano, sui suoi rapporti con un certo avvocato Mills; ha mentito sulla vicenda delle società di comodo di “All Iberian” (dapprima dichiarata come mai esistente, e poi regolarmente presentatasi a fruire dello scudo fiscale); ha mentito sul cosiddetto “Contratto con gli Italiani”; ha mentito sull’emergenza-rifiuti a Napoli; e su che altro ancora?
In compenso, è stato sincero sul dire cosa egli pensi del Parlamento, della Costituzione, della libertà di informazione: inutile il primo, carta straccia la seconda, dannosa la terza.
Interessa agli italiani che il privato (o meglio, un certo tipo di privato) diventi fatto pubblico: interessano i criteri di scelta dei candidati alla Presidenza di Regioni od al Parlamento Europeo, i criteri di nomina di deputati, senatori, ministri; interessano le leggi che sono servite a “salvare” Rete 4, od a prorogare ancora l’entrata in vigore della “class action” ed a impedirne la retroattività; gli aerei di Stato utilizzati per trasportare i giullari e le cortigiane del sultano; i denari pubblici utilizzati per favorire i capitani coraggiosi (coi soldi nostri) di Alitalia.
Interessa agli italiani che non si sia fatto nulla per porre in atto interventi strutturali per arginare ed attutire gli effetti della crisi economica; che i famosi fondi FAS, destinati alle aree a basso grado di sviluppo, siano stati destinati ad altri scopi, tra i quali l’estensione dell’esenzione ICI; che non vi sia una qualsivoglia visione di politica industriale, limitandosi a proclamare che il peggio è passato, e confidando, ancora una volta, nello stellone e nella speranza che le cose si aggiustino da sole.
Interessa agli italiani il fatto che sia stata introdotta una riforma scolastica che deprime la scuola pubblica, che non si trovi la volontà, prima ancora che le risorse, per assicurare un minimo di protezione a chi non ne ha alcuna, mentre si regalano soldi al dittatore Gheddafi e si avvia una riforma pseudo-federale il cui costo è stato dichiarato come sconosciuto da parte dello stesso ministro Tremonti.
Ed interessa, ancora, agli italiani, che si stia cercando di avviare un piano nucleare che non porterà neanche sviluppo scientifico e di ricerca, in quanto si tratta di importare, a caro prezzo, dalla Francia know-how e tecnologie ormai più che mature ed obsolete.
Tutto ciò, in un Paese nel quale la libertà d’informazione è una chimera, non è oggetto di dibattito pubblico anche perché la voce del principale partito di opposizione è troppo incerta, altalenante e contradditoria, e viene solo confusamente avvertito dall’opinione pubblica.
Ed allora, un voto al PdL non è un voto utile: è solo un voto dannoso. Dannoso perché rivolto ad accettare un regime da basso impero, nel quale gli appetiti del sultano diventano fatto pubblico e legge.
Dall’ opposizione del PD ci arriva l’altro richiamo al “voto utile”. Ma, se l’evidenza empirica ha in questo Paese ancora un significato, gli ultimi tredici mesi ci hanno mostrato che mai voto fu più inutile. Inutile a costruire un’opposizione, che d’altra parte non si è mai voluta condurre. Inutile a costruire un’alternativa, avendo fatto il vuoto attorno a sé. Inutile a difendere la democrazia, pronunciandosi per il SI al Referendum elettorale, ed avendo votato -anzi, proposto per primo- la legge elettorale europea e poi quella, ancor più ignobile, sul rimborso elettorale.
Utile solo a realizzare il proprio monopolio sulla minoranza, omologando a sé, o cercando di cancellare, le altre forze di opposizione, rivedendo così, in funzione conservatrice, l’antica massima: “pas d’ennemis à gauche”.
Ed allora, la possibilità di individuare un voto non dannoso e non inutile, va cercata altrove.
Non riesco ad individuarla nei radicali, che tuonano -oggi- contro la partitocrazia, dopo aver contribuito per anni a fornire l’alibi liberale ad una destra che identificava liberalismo e liberismo (quando quest’ultimo era di moda), e definiva come liberale la propria propensione all’evasione fiscale; dopo aver affondato l’esperienza della “Rosa nel Pugno”; dopo aver trattato con Veltroni la nomina dei propri attuali deputati e senatori. E che inseguono il sogno di una democrazia maggioritaria di tipo anglosassone in un Paese che ha ben altre radici storiche e culturali. Che incarnano anch’essi un modello carismatico di partito-persona, che confligge in modo stridente con la possibilità di allargare l’area politica nella quale essi si collocano.
Non riesco ad individuarla nell’altro partito-persona: quello di Di Pietro. Che, se in questi mesi, ha il merito di esser stato in molte occasioni l’unica voce di opposizione, non può rappresentare, ai miei occhi, la prospettiva politica per la soluzione dei problemi di questo Paese. L’Italia non ha bisogno di aggiungere populismo a populismo; anche se il primo si oppone al secondo, non è questa la strada per ammodernare il Paese e salvare la democrazia. La giusta rivendicazione di principii etici nella politica non può sfociare in affermazioni giustizialiste che facciano dimenticare il garantismo, ed in affermazioni demagogiche che non ottengono altro risultato che quello di alimentare proprio quell’antipolitica sulla quale, in definitiva, cresce il berlusconismo. Resta, infine, non chiara la posizione del partito di Di Pietro sulle principali questioni economiche e sociali che oggi toccano profondamente il Paese.
E non è neanche possibile individuarla in una sinistra autodefinitasi anticapitalista, nostalgica del passato e di un mondo diviso in due e cancellato dalla Storia. Oggi si sono aperte nuove sfide e nuove conflittualità, che non possono esser interpretate in termini deterministici; e men che mai, nei termini di un determinismo arcaico.
Si moltiplicano in questi ultimi giorni di campagna elettorale gli appelli al cosiddetto “voto utile”.
Da parte del PD: qui si tratta della ripetizione di un vecchio copione, già messo in scena 13 mesi fa in occasione delle ultime politiche.
Ed ora, anche da parte del PdL, il cui capo teme che la sua popolarità sia, da qualche tempo, in calo. Naturalmente, ciò viene imputato al complotto, oramai mondiale, di una stampa sobillata dalla “sinistra”, che lavora per gonfiare il Noemigate e per screditare in ogni modo l’immagine del sultano. In altre parole, Pais, Independent, Guardian, Times, Financial Times, sarebbero tutti fogli al soldo di una congiura diretta contro di Lui.
Ma gli scricchiolii del potere personale del cavaliere non stanno nel Noemigate in sé: delle vicende personali dell’illibata signorina Letizia e di papi, molto poco mi interessa, e molto poco interessa agli italiani.
Interessa invece, e non poco, agli italiani oltre che ai suoi figli, sulla cui testa quotidianamente giura, il fatto che a governarci sia un signore che ha fatto della menzogna un’arte. Che non mente solo sulle sue vicende personali; ha mentito sui suoi rapporti con il sig. Letizia, che non pare essere il più commendevole dei possibili amici per un Presidente del Consiglio; ha mentito, protetto dal lodo Alfano, sui suoi rapporti con un certo avvocato Mills; ha mentito sulla vicenda delle società di comodo di “All Iberian” (dapprima dichiarata come mai esistente, e poi regolarmente presentatasi a fruire dello scudo fiscale); ha mentito sul cosiddetto “Contratto con gli Italiani”; ha mentito sull’emergenza-rifiuti a Napoli; e su che altro ancora?
In compenso, è stato sincero sul dire cosa egli pensi del Parlamento, della Costituzione, della libertà di informazione: inutile il primo, carta straccia la seconda, dannosa la terza.
Interessa agli italiani che il privato (o meglio, un certo tipo di privato) diventi fatto pubblico: interessano i criteri di scelta dei candidati alla Presidenza di Regioni od al Parlamento Europeo, i criteri di nomina di deputati, senatori, ministri; interessano le leggi che sono servite a “salvare” Rete 4, od a prorogare ancora l’entrata in vigore della “class action” ed a impedirne la retroattività; gli aerei di Stato utilizzati per trasportare i giullari e le cortigiane del sultano; i denari pubblici utilizzati per favorire i capitani coraggiosi (coi soldi nostri) di Alitalia.
Interessa agli italiani che non si sia fatto nulla per porre in atto interventi strutturali per arginare ed attutire gli effetti della crisi economica; che i famosi fondi FAS, destinati alle aree a basso grado di sviluppo, siano stati destinati ad altri scopi, tra i quali l’estensione dell’esenzione ICI; che non vi sia una qualsivoglia visione di politica industriale, limitandosi a proclamare che il peggio è passato, e confidando, ancora una volta, nello stellone e nella speranza che le cose si aggiustino da sole.
Interessa agli italiani il fatto che sia stata introdotta una riforma scolastica che deprime la scuola pubblica, che non si trovi la volontà, prima ancora che le risorse, per assicurare un minimo di protezione a chi non ne ha alcuna, mentre si regalano soldi al dittatore Gheddafi e si avvia una riforma pseudo-federale il cui costo è stato dichiarato come sconosciuto da parte dello stesso ministro Tremonti.
Ed interessa, ancora, agli italiani, che si stia cercando di avviare un piano nucleare che non porterà neanche sviluppo scientifico e di ricerca, in quanto si tratta di importare, a caro prezzo, dalla Francia know-how e tecnologie ormai più che mature ed obsolete.
Tutto ciò, in un Paese nel quale la libertà d’informazione è una chimera, non è oggetto di dibattito pubblico anche perché la voce del principale partito di opposizione è troppo incerta, altalenante e contradditoria, e viene solo confusamente avvertito dall’opinione pubblica.
Ed allora, un voto al PdL non è un voto utile: è solo un voto dannoso. Dannoso perché rivolto ad accettare un regime da basso impero, nel quale gli appetiti del sultano diventano fatto pubblico e legge.
Dall’ opposizione del PD ci arriva l’altro richiamo al “voto utile”. Ma, se l’evidenza empirica ha in questo Paese ancora un significato, gli ultimi tredici mesi ci hanno mostrato che mai voto fu più inutile. Inutile a costruire un’opposizione, che d’altra parte non si è mai voluta condurre. Inutile a costruire un’alternativa, avendo fatto il vuoto attorno a sé. Inutile a difendere la democrazia, pronunciandosi per il SI al Referendum elettorale, ed avendo votato -anzi, proposto per primo- la legge elettorale europea e poi quella, ancor più ignobile, sul rimborso elettorale.
Utile solo a realizzare il proprio monopolio sulla minoranza, omologando a sé, o cercando di cancellare, le altre forze di opposizione, rivedendo così, in funzione conservatrice, l’antica massima: “pas d’ennemis à gauche”.
Ed allora, la possibilità di individuare un voto non dannoso e non inutile, va cercata altrove.
Non riesco ad individuarla nei radicali, che tuonano -oggi- contro la partitocrazia, dopo aver contribuito per anni a fornire l’alibi liberale ad una destra che identificava liberalismo e liberismo (quando quest’ultimo era di moda), e definiva come liberale la propria propensione all’evasione fiscale; dopo aver affondato l’esperienza della “Rosa nel Pugno”; dopo aver trattato con Veltroni la nomina dei propri attuali deputati e senatori. E che inseguono il sogno di una democrazia maggioritaria di tipo anglosassone in un Paese che ha ben altre radici storiche e culturali. Che incarnano anch’essi un modello carismatico di partito-persona, che confligge in modo stridente con la possibilità di allargare l’area politica nella quale essi si collocano.
Non riesco ad individuarla nell’altro partito-persona: quello di Di Pietro. Che, se in questi mesi, ha il merito di esser stato in molte occasioni l’unica voce di opposizione, non può rappresentare, ai miei occhi, la prospettiva politica per la soluzione dei problemi di questo Paese. L’Italia non ha bisogno di aggiungere populismo a populismo; anche se il primo si oppone al secondo, non è questa la strada per ammodernare il Paese e salvare la democrazia. La giusta rivendicazione di principii etici nella politica non può sfociare in affermazioni giustizialiste che facciano dimenticare il garantismo, ed in affermazioni demagogiche che non ottengono altro risultato che quello di alimentare proprio quell’antipolitica sulla quale, in definitiva, cresce il berlusconismo. Resta, infine, non chiara la posizione del partito di Di Pietro sulle principali questioni economiche e sociali che oggi toccano profondamente il Paese.
E non è neanche possibile individuarla in una sinistra autodefinitasi anticapitalista, nostalgica del passato e di un mondo diviso in due e cancellato dalla Storia. Oggi si sono aperte nuove sfide e nuove conflittualità, che non possono esser interpretate in termini deterministici; e men che mai, nei termini di un determinismo arcaico.
Sinistra e Libertà rappresenta oggi la scommessa dell’unica formazione politica che assommi in sé tutti i principii, nessuno escluso, sui quali si fonda la nostra Costituzione: libertà, democrazia, equità.
L’Italia ha bisogno di una “nuova” Sinistra, che non guardi indietro, ma che voglia e sappia interpretare le esigenze di libertà, di democrazia, di equità in una società che è cambiata profondamente rispetto ad un passato neanche tanto lontano nel tempo. E che sappia combattere la battaglia, prima di tutto culturale , e poi politica, per sconfiggere l’addormentamento delle coscienze e dello spirito critico che ha caratterizzato gli ultimi quindici anni.
Per questo, vi è bisogno di atteggiamenti empirici (in termini filosofici), e di esperienze, storie, culture, punti di vista, diversi e plurali, che sappiano far capire come senza libertà non vi sia democrazia, e che senza democrazia non possa esservi equità. Ma che affermino anche che, se questo è il percorso storico e culturale che le grandi democrazie hanno compiuto in oltre due secoli, è vero anche il percorso inverso: le libertà individuali e civili non sono tali ed effettive se non sono sostenute da condizioni economiche e sociali, oltre che giuridiche, che ne consentano e concretizzino il pieno esercizio.
Queste sono le ragioni per le quali il voto per “Sinistra e Libertà” mi pare necessario, oltre che utile, a dare a quella che è stata chiamata “l’Italia che non ci sta” a veder degenerare in satrapia la nostra democrazia, la speranza e la possibilità di risalire la china.
Gim Cassano, 04-06-2009
L’Italia ha bisogno di una “nuova” Sinistra, che non guardi indietro, ma che voglia e sappia interpretare le esigenze di libertà, di democrazia, di equità in una società che è cambiata profondamente rispetto ad un passato neanche tanto lontano nel tempo. E che sappia combattere la battaglia, prima di tutto culturale , e poi politica, per sconfiggere l’addormentamento delle coscienze e dello spirito critico che ha caratterizzato gli ultimi quindici anni.
Per questo, vi è bisogno di atteggiamenti empirici (in termini filosofici), e di esperienze, storie, culture, punti di vista, diversi e plurali, che sappiano far capire come senza libertà non vi sia democrazia, e che senza democrazia non possa esservi equità. Ma che affermino anche che, se questo è il percorso storico e culturale che le grandi democrazie hanno compiuto in oltre due secoli, è vero anche il percorso inverso: le libertà individuali e civili non sono tali ed effettive se non sono sostenute da condizioni economiche e sociali, oltre che giuridiche, che ne consentano e concretizzino il pieno esercizio.
Queste sono le ragioni per le quali il voto per “Sinistra e Libertà” mi pare necessario, oltre che utile, a dare a quella che è stata chiamata “l’Italia che non ci sta” a veder degenerare in satrapia la nostra democrazia, la speranza e la possibilità di risalire la china.
Gim Cassano, 04-06-2009
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