giovedì 3 settembre 2009

La morale del caso Boffo è chiara: chi critica il padrone rischia il confino mediatico

Non ho plaudito alle critiche mosse quest’estate da L’Avvenire alla condotta del premier. E non perché non le ritenga condivisibili nella sostanza, ma perché queste critiche mi sono apparse, tutto sommato, come un’ennesima prova della fondamentale ambivalenza della Chiesa. Anche i più distratti avranno certamente notato che durante l’estate la Chiesa ha più volte dichiarato di essere stata profondamente offesa dal comportamento del governo, di sentirsi "mortificata", mettendo qui da parte la problematica dell’immigrazione, per i comportamenti licenziosi del premier.

La Chiesa ha attaccato Silvio Berlusconi per la sua condotta; dalle colonne de L'Avvenire, il giornale dei vescovi italiani sono piovute aspre critiche, eppure non è possibile dimenticare la posizione avuta sul caso Englaro, quando la Chiesa non si sentì affatto mortificata né fu minimamente vergognosa di invadere la sfera privata di Beppino Englaro, rendendo pubblico un privato che doveva rimanere tale, con una violenza che fa impallidire le più disinibite prestazioni del cavaliere. In quell’occasione abbiamo avuto la più solare dimostrazione che il più sfrenato edonismo di stampo berlusconiano può conciliarsi in modo sorprendentemente naturale con il più efferato moralismo papalino.

Inoltre, che le critiche più dure alla condotta del premier giungano da ambienti vicini alla Chiesa, che ha inscritto nel suo DNA il perdonismo, aiuta solo apparentemente la causa.

Fatte queste premesse, il caso, tutto mediatico e suscitato ad arte, che ha portato alle dimissioni del direttore dell’Avvenire, Dino Boffo, è tutt’altra cosa ed evidenzia una volta in più la situazione assolutamente preoccupante in cui versano l’informazione e la libertà d’espressione nel nostro Paese. Perché indipendentemente dagli orientamenti che rappresenta, l’Avvenire è un organo d’informazione che, nel corretto esercizio delle sue funzioni, ha mosso al presidente del Consiglio delle critiche precise e circostanziate sulla sua condotta personale e, soprattutto, sulle sue ricadute pubbliche.
Il compito di reagire a queste critiche di natura politica – giova ripeterlo – è stato affidato all’uomo che presentava un curriculum quanto mai adatto all’impresa: il neo-direttore del Giornale Vittorio Feltri, che già dirigendo Libero aveva dato ampie prove di zelante cinismo e straordinaria faziosità. Come è nel suo stile, la risposta ad una critica politica non è stata assolutamente politica, ma squisitamente personale; si è andato a rovistare nella vita di un uomo, Boffo, che non ricopre un ruolo politico, e dunque si è frugato in un privato davvero privo di contaminazioni con il pubblico, al solo scopo di prodigarsi a propagare un’equazione che è da sempre uno dei puntelli del berlusconismo: che, poiché nessuno è esente da vizi privati, non c’è motivo di accanirsi proprio con il premier - il quale semmai ci rappresenta anche in questo così bene.

Il problema vero, naturalmente, è un altro, è serio e lo è sempre di più, anche se nella sostanza non è nuovo: il padrone non lo si può criticare, altrimenti si va al confino mediatico.

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