Non ho plaudito alle critiche mosse quest’estate da Avvenire alla condotta del premier. E non perché non le ritenga condivisibili nella sostanza, ma perché queste critiche mi sono apparse, tutto sommato, come un’ennesima prova della fondamentale ambivalenza della Chiesa. Anche i più distratti avranno certamente notato che durante l’estate la Chiesa ha più volte dichiarato di essere stata profondamente offesa dal comportamento del governo, di sentirsi "mortificata", mettendo qui da parte la problematica dell’immigrazione, per i comportamenti licenziosi del premier.
La Chiesa ha attaccato Silvio Berlusconi per la sua condotta; dalle colonne di Avvenire, il giornale dei vescovi italiani sono piovute aspre critiche, eppure non è possibile dimenticare la posizione avuta sul caso Englaro, quando la Chiesa non si sentì affatto "mortificata" né fu minimamente vergognosa di invadere la sfera privata di Beppino Englaro, rendendo pubblico un privato che doveva rimanere tale, con una violenza che fa impallidire le più disinibite prestazioni del cavaliere. In quell’occasione abbiamo avuto la più solare dimostrazione che il più sfrenato edonismo di stampo berlusconiano può conciliarsi in modo sorprendentemente naturale con il più efferato moralismo papalino.
Sono queste, insieme alle recenti esternazioni del cardinale Bagnasco sulla legge 194 - un ritorno intransigente cui periodicamente assistiamo - altrettante vicende che ripropongono con forza una riflessione su un rapporto che appare quanto mai ambivalente, quella tra la Chiesa e l’attuale maggioranza di governo, capaci a volte di una comunanza d’intenti così stretta da configurare una vera Santa Alleanza; mentre in altre occasione il Vaticano, apprendiamo, non può fare a meno di sentirsi profondamente offeso.
Che le critiche più dure alla condotta del premier giungano dalla Chiesa, che ha inscritto nel suo DNA moralismo e perdonismo, aiuta solo apparentemente la causa. Così come non aiuta a capire il compiacimento, molto diffuso anche in quella parte di sinistra non papalina, con il quale sono state accolte le proteste di un’istituzione che è ampiamente corresponsabile del clima culturale che si è instaurato in Italia.
Fatte queste premesse, il caso, tutto mediatico e suscitato ad arte, che ha portato alle dimissioni del direttore di Avvenire, Dino Boffo, è tutt’altra cosa ed evidenzia una volta in più la situazione assolutamente preoccupante in cui versa l’informazione e la libertà d’espressione nel nostro Paese. Perché indipendentemente dagli orientamenti che rappresenta, Avvenire è un organo d’informazione che ha mosso al presidente del Consiglio delle critiche precise e circostanziate sulla sua condotta personale e, soprattutto, sulle sue ricadute pubbliche. Non sono un lettore di Avvenire; mi sono dovuto informare sui trascorsi giornalistici di Boffo e posso dire tranquillamente, da laico e liberale di sinistra, di non condividere nemmeno una della sue battaglie, intransigenti e volte a garantire alla Chiesa un adeguato spazio di ingerenza politica.
Ma, ed è questo il punto, non è certo per queste posizioni che Boffo è stato osteggiato. È stato violentemente attaccato fino a provocarne le dimissioni quando ha attaccato Silvio Berlusconi.
Il compito di reagire a queste critiche di natura politica – giova ripeterlo – è stato affidato all’uomo che presentava un curriculum quanto mai adatto all’impresa: il neo-direttore de Il Giornale Vittorio Feltri, che già dirigendo Libero aveva dato ampie prove di zelante cinismo e straordinaria faziosità. Come è nel suo stile la risposta ad una critica politica non è stata assolutamente politica, ma squisitamente personale; si è andato a rovistare nella vita di un uomo, Boffo, che non ricopre un ruolo istituzionale, e dunque si è frugato in un privato davvero privo di contaminazioni con il pubblico, al solito scopo di prodigarsi a propagare un’equazione che è da sempre uno dei puntelli del berlusconismo: che, poiché nessuno è esente da vizi privati, non c’è motivo di accanirsi con il premier.
Il problema vero, naturalmente, è un altro, è serio e lo è sempre di più, anche se nella sostanza non è nuovo: il padrone non lo si può criticare, altrimenti si va al confino mediatico.
Quanto ai rapporti tra maggioranza di governo e Vaticano molti commentatori giurano che con questa vicenda si sono incrinati. Io, francamente, qualche dubbio ce l’ho. Questi rapporti hanno una forte componente di comodo e nulla vieta che in circostanze diverse, e magari anche presto, la Santa Alleanza torni a costituirsi. Magari solo senza B.
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