venerdì 4 settembre 2009

Ancora alcune considerazioni a margine delle dimissioni di Dino Boffo

Per un buon paio di settimane sono stato volentieri fuori dalla mischia (chiamatela pure vacanza); ora settembre è arrivato e davvero pare che sia cambiato molto poco. Di sicuro non è cambiato, anzi è cresciuto il tentativo del cavaliere di serrare il controllo sui media e sulla stampa, come è cresciuta la sua insofferenza verso qualsiasi critica. Non ha risparmiato, in questi giorni, i suoi conati eversivi rivolgendoli anche all’Unione Europea, “rea” di aver manifestato perplessità sulla politica dei respingimenti del governo italiano. In questo suo sprezzante rifiuto dell’Europa e degli organismi internazionali questo governo non cessa di ricordarci precedenti insostenibili; e se una deriva completa è stata finora evitata, dobbiamo ringraziare proprio l’Europa.

E, come logica conseguenza di tutto ciò, non è mutata di nulla l’attenzione speciale riservata dalla stampa estera al caso Italia. Già lo scorso fine settimana il "nostro" era finito sulla prima pagina dell’edizione del sabato del Financial Times, che in un articolo di Guy Dinmore dava notizia delle cause avviate dai legali del cavaliere contro il settimanale francese Nouvel Observateur, per un articolo intitolato “Sesso, potere e bugie”; contro lo spagnolo El Pais, per le famose foto di Villa Certosa; e infine quella, per ora solo ipotizzata, contro il Times del rivale Murdoch.
Per quanto riguarda gli interventi degli ultimi giorni, ho tradotto qualcosa su Stampa Estera (si può vedere questo link).

Qui vorrei aggiungere alcune considerazioni sulle dimissioni del direttore di Avvenire. Per dire anzi tutto che la già martoriata libertà d’espressione ne esce ancor più falcidiata. Le dimissioni di Dino Boffo offrono una ulteriore e tangibilissima prova che il cavaliere può sempre contare su solerti esecutori dei suoi desideri. Come è noto, Berlusconi si è fin dall’inizio dissociato dall’attacco nei confronti di Boffo lanciato da Feltri, ma questo contrasta con fonti politiche secondo le quali non avrebbe fatto nulla per fermarlo durante la settimana. Ma soprattutto contrasta con l'intelligenza delle cose e con la più ovvia lettura degli schieramenti ideologici in campo.

Nulla di sorprendente: è la teoria del carisma. Non c’è alcun bisogno che esistano indicazioni specifiche; queste ci possono essere, ma non è affatto necessario. I servi zelanti si affrettano ad interpretare ed eseguire i voleri del capo, desiderosi di fargli cosa gradita e sicuri di farlo. È l’essenza del berlusconismo.

La teoria del carisma, normalmente associata al filosofo e sociologo Max Weber, è stata usata in modo convincente per spiegare l’affermazione dei totalitarismi nel Novecento. In ogni modo, funziona molto bene per spiegare il berlusconismo, così come spiega i sistemi non democratici o non pienamente democratici basati sul potere personale.

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