Non è che sia proprio d’accordo. Per carità, il nobel per la pace lo hanno dato a personaggi come Henry Kissinger e il progresso mi pare evidente. Obama ha fatto sicuramente delle cose buone e il suo valore storico-simbolico è indiscutibile, ma un simile riconoscimento mi sembra almeno prematuro. Resto per altro convinto che in Europa molto dell’entusiasmo nei confronti di Obama sia in parte frutto di un equivoco. Il neopresidente americano non ha avuto una sola parola da dire sul genocidio dei palestinesi, in linea con i suoi predecessori; e recentemente non ha voluto incontrare il Dalai Lama, in visita negli Stati Uniti, per non far dispiacere alla Cina, che in questo momento è un indispensabile partner finanziario per gli Stati Uniti. In conclusione, Obama ha iniziato un processo di cambiamento anche in politica estera, ma non ha certamente toccato quegli imperialismi strettamente legati agli interessi americani.
Che dire, pragmaticamente lo posso anche capire, ma il contributo reale di Obama al cambiamento degli assetti geopolitici e, in ultima analisi, alla pace nel mondo forse avrebbe richiesto un pò più di tempo per essere valutato. L’equivoco non sta nella valutazione complessiva del significato e, fin qui, dell’operato di Obama, che credo vada comunque riguardato positivamente; ma nell’attesa quasi messianica nei suoi confronti così diffusa, fin dall’inizio, in Europa. L’ equivoco sparirebbe capendo semplicemente che quando Obama dice “Yes we can” non sta parlando ai poveri e agli oppressi del mondo, per quanto possa avere delle ricadute positive anche per loro; sta parlando sempre e solo agli americani. E a chi altro, sennò?
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