Sotto la luce incresciosa dei riflettori dell’opinione pubblica internazionale, il Vaticano è costretto a fare il mea culpa più sentito, ancorché molto tardivo; Benedetto XVI ha così sottolineato la necessità per i cristiani di fare “penitenza” (basterà?). Ma lasciamo solo per un momento da parte lo scandalo della pedofilia, sul quale molto abbiamo ragionato e ancora ragioneremo (anche in Italia vengono fuori ora le prime denunce, che raccontano di abusi sistematici, di incrostazioni sopite da decenni).
C’è un altro passaggio dello stesso discorso, nel quale Ratzinger sottolinea un nesso, certamente non nuovo della sua dottrina, che non manca mai di suscitare la mia perplessità e che costituisce uno degli aspetti della crisi della visione del mondo della Chiesa. Ratzinger ha affermato che dopo le dittature del Novecento, i fascismi e quelle “marxiste” (secondo la sua terminologia), oggi c’è una dittatura non meno pericolosa: l’omologazione.
Per conto nostro, soffermandoci sull’ultima parte di questa ricostruzione, l’83enne (oggi) pontefice sfonda una porta aperta, ma mi domando cosa faccia la Chiesa cattolica per combattere l’omologazione. (Un pronunciamento che suona già strano considerando semplicemente che parliamo della religione largamente maggioritaria nel nostro Paese.) Non voglio nemmeno dire della religione in generale, parlo proprio della Chiesa cattolica e della Chiesa cattolica in Italia.
Ha mai combattuto l’omologazione?
Viviamo in un Paese, l’Italia, dove dichiararsi ateo, ove si eccettuino forse le grandi città, non manca di suscitare diffidenza in molti; dove l’articolo 3 della nostra Costituzione, che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini rispetto, tra l’altro, al credo religioso, è contraddetto nella lettera e nello spirito dalle gerarchie vaticane che, forti di una sempre zelante classe politica, sembrano tendere piuttosto alla restaurazione dell’editto di Tessalonica, che nel 380 d.C. faceva della religione cristiana l’unica dell’impero. Viviamo in un Paese che ha prodotto un prototipo di uomo medio, notoriamente cattolico e buon padre di famiglia, solo dedito al limite a una doppia vita, che è davvero difficile vedere come un campione della lotta contro l’omologazione.
Viviamo in una società che, utilizzando una definizione di Pasolini che mi appare sempre attuale, probabilmente non ha mai smesso di essere “clerico-fascista” in una sua parte rilevante e nel suo intimo e il sodalizio espresso da questa definizione non manca mai di rinnovarsi, come è avvenuto col “caso Englaro” o più recentemente con la crociata contro la pillola Ru486 (solo per citare due casi notevoli).
Oggi, dunque, esiste una dittatura pericolosa perché subdola, spesso difficile da decifrare nelle sue multiformi epifanie, sempre incombente e pervasiva nelle nostre vite; questa dittatura è l’omologazione. Per combatterla occorre essere robustamente attrezzati, servono un forte senso critico e un sano individualismo, che sono anche gli unici antidoti contro il rischio minaccioso del ritorno di ideologismi vecchi e nuovi.
La Chiesa ha mai combattuto questa dittatura che è l’omologazione? O non esistono, piuttosto, evidenze di segno del tutto contrario? Non è piuttosto vero che nella società italiana l’omologazione avviene ed è sempre avvenuta anche e largamente intorno ai “valori” della Chiesa cattolica?
La contraddizione insita in questa visione, che vorrebbe fare della spiritualità (cattolica) un antidoto contro l’omologazione è testimoniato dalla storia di una società che è ed è sempre stata, in una sua parte significativa, cattolica e conformista; ma è ancora più evidente oggi, di fronte alla clamorosa incapacità della Chiesa cattolica di dare miglior prova della propria moralità, in ragione della precisa responsabilità di aver coperto e insabbiato la piaga della pedofilia in nome della causa della propria indisturbata esistenza, cioè della sussistenza e della conservazione del proprio potere. Una deferenza all’incarnazione forse più greve della dittatura dell’omologazione, cioè il potere incurante della giustizia, di fronte alla quale “fare penitenza” basterà solo se significherà avere il coraggio di rimettere in discussione un’intera visione del mondo.
Benedetto XVI ha fama di grande teologo e indubbiamente è anche portatore di una sua filosofia della storia, una visione organica della realtà e una sua diagnosi dei mali della società. Che non è non può essere certamente la nostra; sui rischi dell’omologazione, in compenso, possiamo essere del tutto d’accordo, ma obiettivamente sarebbe davvero troppo aspettarci che Ratzinger riconosca che la chiesa cattolica è una colonna portante di questa strisciante dittatura.
C’è un altro passaggio dello stesso discorso, nel quale Ratzinger sottolinea un nesso, certamente non nuovo della sua dottrina, che non manca mai di suscitare la mia perplessità e che costituisce uno degli aspetti della crisi della visione del mondo della Chiesa. Ratzinger ha affermato che dopo le dittature del Novecento, i fascismi e quelle “marxiste” (secondo la sua terminologia), oggi c’è una dittatura non meno pericolosa: l’omologazione.
Per conto nostro, soffermandoci sull’ultima parte di questa ricostruzione, l’83enne (oggi) pontefice sfonda una porta aperta, ma mi domando cosa faccia la Chiesa cattolica per combattere l’omologazione. (Un pronunciamento che suona già strano considerando semplicemente che parliamo della religione largamente maggioritaria nel nostro Paese.) Non voglio nemmeno dire della religione in generale, parlo proprio della Chiesa cattolica e della Chiesa cattolica in Italia.
Ha mai combattuto l’omologazione?
Viviamo in un Paese, l’Italia, dove dichiararsi ateo, ove si eccettuino forse le grandi città, non manca di suscitare diffidenza in molti; dove l’articolo 3 della nostra Costituzione, che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini rispetto, tra l’altro, al credo religioso, è contraddetto nella lettera e nello spirito dalle gerarchie vaticane che, forti di una sempre zelante classe politica, sembrano tendere piuttosto alla restaurazione dell’editto di Tessalonica, che nel 380 d.C. faceva della religione cristiana l’unica dell’impero. Viviamo in un Paese che ha prodotto un prototipo di uomo medio, notoriamente cattolico e buon padre di famiglia, solo dedito al limite a una doppia vita, che è davvero difficile vedere come un campione della lotta contro l’omologazione.
Viviamo in una società che, utilizzando una definizione di Pasolini che mi appare sempre attuale, probabilmente non ha mai smesso di essere “clerico-fascista” in una sua parte rilevante e nel suo intimo e il sodalizio espresso da questa definizione non manca mai di rinnovarsi, come è avvenuto col “caso Englaro” o più recentemente con la crociata contro la pillola Ru486 (solo per citare due casi notevoli).
Oggi, dunque, esiste una dittatura pericolosa perché subdola, spesso difficile da decifrare nelle sue multiformi epifanie, sempre incombente e pervasiva nelle nostre vite; questa dittatura è l’omologazione. Per combatterla occorre essere robustamente attrezzati, servono un forte senso critico e un sano individualismo, che sono anche gli unici antidoti contro il rischio minaccioso del ritorno di ideologismi vecchi e nuovi.
La Chiesa ha mai combattuto questa dittatura che è l’omologazione? O non esistono, piuttosto, evidenze di segno del tutto contrario? Non è piuttosto vero che nella società italiana l’omologazione avviene ed è sempre avvenuta anche e largamente intorno ai “valori” della Chiesa cattolica?
La contraddizione insita in questa visione, che vorrebbe fare della spiritualità (cattolica) un antidoto contro l’omologazione è testimoniato dalla storia di una società che è ed è sempre stata, in una sua parte significativa, cattolica e conformista; ma è ancora più evidente oggi, di fronte alla clamorosa incapacità della Chiesa cattolica di dare miglior prova della propria moralità, in ragione della precisa responsabilità di aver coperto e insabbiato la piaga della pedofilia in nome della causa della propria indisturbata esistenza, cioè della sussistenza e della conservazione del proprio potere. Una deferenza all’incarnazione forse più greve della dittatura dell’omologazione, cioè il potere incurante della giustizia, di fronte alla quale “fare penitenza” basterà solo se significherà avere il coraggio di rimettere in discussione un’intera visione del mondo.
Benedetto XVI ha fama di grande teologo e indubbiamente è anche portatore di una sua filosofia della storia, una visione organica della realtà e una sua diagnosi dei mali della società. Che non è non può essere certamente la nostra; sui rischi dell’omologazione, in compenso, possiamo essere del tutto d’accordo, ma obiettivamente sarebbe davvero troppo aspettarci che Ratzinger riconosca che la chiesa cattolica è una colonna portante di questa strisciante dittatura.
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