martedì 21 dicembre 2010

Una nuova strategia della tensione?

«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interni (…). Gli universitari? Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì».

Francesco Cossiga, 23/10/2008 intervistato dal quotidiano “Il Giorno”




Quando, pochi giorni dopo, a Piazza Navona un manipolo di neofascisti armati di mazze causò lo scontro con studenti disarmati, fu difficile sottrarsi alla sensazione che la linea dettata da Cossiga avesse trovato una pronta attuazione. A molti il legame con le parole pronunciate da Cossiga apparve sinistro e indicativo della volontà di gettare discredito su un movimento studentesco che già allora, muovendo i suoi primi passi, si era mostrato pacifico e consapevole. Non ci fu, infatti, altra violenza, altra minaccia all’ordine pubblico al di là di quella innescata dai personaggi nella foto (sopra) che, se qualcuno reclutò nei centri sociali, non è certamente in quelli di sinistra che dovette andare a cercarli.

"Voglio fare un appello: genitori, dite ai vostri figli di stare a casa. Quelle manifestazioni sono frequentate da potenziali assassini. Vanno evitate".

“Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un 7 aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 in cui furono arrestati tanti capi dell'estrema sinistra collusi con il terrorismo".

Maurizio Gasparri, dichiarazioni di questi giorni.


A distanza di due anni, stesso governo, stesso movimento, identiche le ragioni di fondo della protesta. La differenza è che in questo torno di tempo si sono aggiunti altri due anni di berlusconismo e di incapacità di contrastarlo, di palese assenza di una degna rappresentanza politica per molti, per troppi e di conseguente frustrazione; di demolizione dell'università e della scuola pubblica e di sorda inerzia, da parte di questa maggioranza di governo, nei confronti di ogni legittima richiesta: di futuro, non di altro. Il parallelismo adombrato da Gasparri è del tutto anti-storico, ma nessuno nel Pdl ha preso le distanze dalle sue dichiarazioni. Le parole di Gasparri sono irresponsabili, ma difficilmente possono essere considerate casuali: al contrario, sembrano rivelatrici di un tentativo preciso. La violenza naturalmente c’è stata e l’abbiamo vista, ma il punto è chi l’abbia commessa e per quali fini. Infiltrati? Il dubbio è più che legittimo; e può anche darsi che a forza di non avere risposte qualcuno fino a quel momento pacifico si sia incazzato, o si sia fatto trascinare. In questo caso, sbagliando. Quello che è certo è che la violenza è funzionale al “potere”: si teme un movimento pacifico, almeno nella larga maggioranza degli elementi che lo compongono, e consapevole, nelle sue rivendicazioni, proprio perché tendenzialmente pacifico e consapevole. Il tentativo di rappresentarlo come violento e di equiparare i manifestanti agli ultras estendendo il “Daspo” alle piazze, come vorrebbe il ministro dell’Interno Maroni, assolve a un duplice scopo: cercare di delegittimarlo e, simultaneamente, creare un nemico che non esiste, legittimando per contro, in nome della repressione, un governo che non governa, composto da una maggioranza le cui pulsioni eversive sono le sole a non avere bisogno di alcuna dimostrazione. Se i singoli dettagli possono non essere chiari, la comprensione generale di questo disegno non deve attendere alcuna prova giuridica, perché ha un’evidenza antropologica.

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