Io credo che questo strappo nel Pdl venga da lontano e che dietro ci sia davvero una diversa e non più conciliabile concezione della leadership, delle regole democratiche, della società.
In queste ore molti esponenti berlusconiani del Pdl sembrano cadere dalle nuvole e dichiarano candidamente di “non capire”, per quale motivo proprio ora che si potrebbero fare le famose riforme “nell’interesse degli italiani” Fini e i “finiani” debbano rovinare tutto.
Proprio adesso. C’è una prova di chiara cecità in questa sorpresa, di sottovalutazione di una serie di sintomi inequivocabili disseminati nell’ultimo anno.
E c’è anche molto nervosismo, misto a questa meraviglia. Ma come, pensano, si può sapere cosa diavolo stanno facendo? Ma che cosa gli passa per la testa? E poi con quali motivazioni, mettere in discussione la leadership di Berlusconi, sollevare il problema delle regole democratiche e quello della democrazia all’interno del partito!
Tanto ci si era abituati, ormai, nel Pdl, che obiezioni sulle regole democratiche venissero sollevate soltanto da sinistra, ma con pochissima autorevolezza, come neutralizzate dall’accusa di una pregiudiziale antiberlusconiana, che vederle avanzare da destra appare ai berluscones come un inaccettabile ed imperdonabile tradimento (è questa l’etimologia politica del “compagno Fini”).
Non capiscono. E invece il motivo della rottura in fondo è semplice e si trova sintetizzato in quel memorabile fuorionda rubato a Fini, nel quale diceva chiaramente: l’uomo (Berlusconi) confonde il consenso popolare, del quale certamente gode, con la monarchia assoluta. Dal problema della leadership, poi, discende immediatamente quello della mancanza di democrazia all’interno del Pdl.
Una cosa non può più essere in dubbio: la migrazione di Fini verso posizioni liberali va considerata, per quanto acrobatica, genuina. E certo c’è molto da discutere, e da rammaricarsi, che questa inverosimile metamorfosi sia stata resa possibile dalla prateria lasciata incustodita a sinistra. Ma ciò non toglie che il cambiamento vada considerato genuino e in questo caso l’implosione del Pdl va letta come il palesarsi di due modelli ormai incompatibili; le differenze investono aspetti sostanziali, come la concezione della leadership, le regole democratiche, la società e l’immigrazione. L’obiezione sulla motrice leghista delle riforme non è semplice pretesto, e tuttavia nasconde qualcosa di più sostanziale: l’anima leghista è irriducibile a posizioni liberali, almeno quanto il cesarismo berlusconiano. E, aggiungiamo, forse alcuni degli ambienti che lo hanno sostenuto non sono più entusiasti che il cavaliere guidi il Paese.
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