Sento ripetere spesso a Bersani, e anche a molti altri, che la stagione del berlusconismo sarebbe vicina alla conclusione e resto un po’ perplesso – anche quando riporto. La perplessità deriva dal fatto che non si presagisce come imminente soltanto la fine politica di Berlusconi o quella, in questo caso certificata, del Pdl del predellino. Si parla proprio di fine del berlusconismo. Per carità, ben venga il pressing, però questa presunta fine del berlusconismo la vedo almeno problematica e forse vale la pena di fare qualche distinguo. Sicuramente è imploso il Pdl e con esso l’idea insostenibile di Destra che ha voluto rappresentare. Ed è chiaro anche che il governo non ha più i numeri per governare. Questo solo si può dire con certezza, per il resto bisognerà vedere cosa succede. Anche se ottimi osservatori non sono convinti che il cavaliere voglia tornare alle urne, io credo ci siano validi elementi per credere che ci stia pensando seriamente. Una cosa è sicura: Berlusconi sa che, se proprio bisogna andare alle urne, meglio prima che dopo: gli avversari, sia i finiani che il PD, non sono ancora pronti e lui è nelle condizioni migliori per giocare con l’elettorato di destra la carta del presunto tradimento di Fini, finché l’onta è fresca. Più tardi si andrà a votare, più il governo sarà debole, più lo sconterà alle urne.
Dunque, la parabola politica del cavaliere sta volgendo al termine? Vedremo, ma anche in questo caso ignoriamo quanto durerà questa agonia e quali colpi di coda ancora infliggerà al Paese un regime che ha sempre dimostrato di essere pronto a trascinare con sé le istituzioni nel suo gorgo populista, pur di non abbandonare il potere – la cantilena che si è sentita in questi giorni è ad un tempo, esemplificativa, minacciosa e non sorprendente, perché fa parte del dna tanto del belrlusconismo che della Lega: “siamo stati eletti dal popolo e non possiamo essere rovesciati da manovre di Palazzo”.
In ogni caso, sarebbe opportuno distinguere almeno tra Berlusconi e il berlusconismo; il secondo, è un fenomeno culturale molto più complesso che abbraccia un quindicennio ed è profondamente radicato nella società italiana. Non è solo una questione di linguaggio, ma il riflesso di quello che, personalmente, considero un equivoco: l’idea che il cavaliere abbia plasmato la società italiana a sua immagine e somiglianza, trascurando che egli stesso è un prodotto della società italiana.
Credo che sarà bene tenere presente che anche quando il cavaliere uscirà di scena non avremo automaticamente debellato il berlusconismo.
Organizzare il funerale del berlusconismo è molto prematuro, ma anche la fine politica del cavaliere non sarà indolore.
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