Le responsabilità culturali del ministro Bondi
Dunque ieri Sandro Bondi ha riferito in Parlamento sul crollo della Schola Armaturarum a Pompei e si è prodotto, a quanto pare, in un’accorata autoassoluzione, declinando le proprie responsabilità per l’accaduto, secondo una linea che aveva ampiamente anticipato nei talk-show televisivi. È difficile accettare questa linea, perché è difficile accettare che il dissesto del patrimonio culturale e archeologico di un paese non chiami in causa il suo ministro dei Beni e delle Attività Culturali.
Però bisogna dirla tutta: un po’ di ragione Bondi, e chi lo difende ce l’hanno, quando dicono che l’incuria nella quale versa il patrimonio culturale italiano è un problema di lungo termine e, in quanto tale, non può essere imputato soltanto all’attuale ministro e ai suoi soli due anni di gestione. Dunque Bondi non c’entra nulla?
Il punto è un altro. Il crollo a Pompei acquisisce il suo pieno significato alla luce del quadro entro cui si colloca, quello dei tagli selvaggi alla cultura e persino del disprezzo per la cultura ostentato, com’è noto, e non per la prima volta, durante una recente discussione in Parlamento, dello stesso ministro dei tagli, Giulio Tremonti, che ha tuonato: “Con la cultura non si mangia!”. Il che non è affatto vero, per molti motivi, come cercano di far notare addetti ai lavori, esponenti politici (tra i quali, con maggior forza, il sindaco di Firenze Matteo Renzi) e chiunque abbia minimamente a cuore la cultura. Non siamo di fronte a uno scontro necessario tra un governo pragmatico e il mondo della cultura. Al contrario, l’importanza di investire su cultura, istruzione e formazione la comprendono perfettamente anche i governi di paesi come Francia e Germania, che sicuramente non sono guidati da coalizioni di sinistra e che, in tempi di crisi, hanno capito che su tutto si doveva tagliare fuorché su cultura e istruzione, perché è proprio lì il motore del cambiamento e il cuore della progettualità, in una cultura intesa non certamente come semplice collezione di vestigia del passato, bensì come fonte di vitalità del pensiero, luogo di formazione del futuro cittadino e del pensiero critico.
Bondi paga dunque per il governo di cui fa parte, ed è paradossale che proprio lui abbia cercato di protestare per i tagli imposti alla cultura in nome delle necessità di bilancio; qui si apre, in fondo, il secondo aspetto della vicenda che si innesta sul primo: il dramma umano di Sandro Bondi. Tutti ricordiamo che Bondi si dispiacque sinceramente quando, di recente, il governo di cui fa parte ha disposto ingenti tagli alla cultura. Uno stupore, però, assai sorprendente: che cosa aveva pensato Bondi, fino ad allora, che cosa ha pensato fino ad oggi? Non sapeva in quale compagine di governo militava, di più, quale governo e quale capo ha sempre strenuamente difeso? Faceva quasi tenerezza nel suo candore: ma come, tagliate sulla cultura? Davvero non si era accorto che nel berlusconismo il ruolo di principale agenzia di formazione è senza dubbio ricoperto dalla televisione?
Eppure, quel governo e quell’uomo, al quale Bondi deve tutte le sue fortune politiche e personali, Bondi ha continuato a difenderli incondizionatamente. Quello che si sta consumando è anche un dramma umano e dell’ambizione personale: Bondi sta pagando il suo ingenuo servilismo.
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