L’argomentazione di Saviano, che per i suoi detrattori è un “teorema” e che tanto ha fatto infuriare il ministro (leghista) dell’Interno Roberto Maroni, ha anzi tutto la forza di un sillogismo:
Ovunque la mafia cerca il potere politico (premessa difficilmente contestabile)
Al nord il potere politico è largamente rappresentato dalla Lega (seconda premessa, rafforzata dall’evidenza, oltre che dal fatto che la Lega stessa ha sempre ostentato la sua “presenza sul territorio” come un punto di forza)
Dunque al nord la mafia ha cercato, e trovato, la Lega.
Ora, la conclusione, che stando alle premesse ha una sua indubbia luce di necessità, potrebbe certamente essere il frutto di un ragionamento formalmente corretto, ma in realtà falso dal punto di vista del suo reale contenuto. Insomma, quello che in logica si definisce un ragionamento valido da un punto di vista formale; ma, com’è noto, si possono facilmente costruire ragionamenti formalmente validi ma del tutto falsi.
Pertanto occorre qualcosa in più per sostenere che quei nessi insistano per davvero, occorre mostrare che quel ragionamento non è valido soltanto da un punto di vista logico, è necessario mostrare che ha un riscontro nella realtà. In mancanza di questa prova, di un ancoraggio reale, dovremmo certamente riconoscere che il ragionamento di Saviano è sostenuto da una logica solo apparente, e che quinidi le sue affermazioni sono leggere e le sue accuse gratuitamente offensive.
In altri termini, quello che va dimostrato è che la sponda che la mafia ha cercato nel potere politico, in Lombardia, l’abbia trovata e che inoltre l’abbia trovata nelle Lega.
In che modo lo si potrebbe fare, quale potrebbe essere la prova necessaria che legittimi la conclusione, l’ancoraggio di tutto il ragionamento?
Un’inchiesta potrebbe rappresentare questa prova necessaria? Ma, insomma, direi proprio di sì!
Ecco, Saviano non ha mancato di citare quest’inchiesta, e un’altra che prova l’esistenza dello stesso nesso è proprio di questi giorni.
Poiché il ragionamento di Saviano è sia solido da un punto di vista logico, che ancorato alla realtà, chi si sente offeso dovrebbe piuttosto rispondere nel merito, e non limitarsi a cavalcare l’onda di un arresto tanto importante quanto provvidenziale, che però non ha effetto sulla portata generale dell’argomentazione di Saviano.
L’altro aspetto che entra in gioco nella vicenda è una malintesa idea del diritto di replica; questo diritto, se correttamente inteso, non implica la presenza di un esponente del governo a un programma nel quale un intellettuale ha chiamato in causa, per altro in modo più che circostanziato, come si è detto, il partito al quale tale esponente del governo appartiene. Se questo accade, vuol dire che un esponente del governo è in grado di condizionare l’agenda del programma e in questo caso il problema che si pone non è quello del diritto di replica, ma della libertà d’espressione.
Del resto al ministro Maroni gli spazi televisivi per una replica che riteneva necessaria non mancano davvero e non se li è fatti mancare. Altrettanto equivoca è l’idea del pluralismo che si vuole affermare. Il pluralismo non consiste nel fatto che in ogni programma debbano essere rappresentati tutti i punti di vista. Sarebbe davvero un gran bel minestrone insipido! Se “Vieni via con me” ha avuto il successo che ha avuto, con quasi 10 milioni di telespettatori, se abbiamo visto una televisione diversa, come ci hanno fatto a lungo credere che non fosse possibile, ciò è dovuto proprio al fatto che l’agenda di “Vieni via con me”, i contenuti trattati e i punti di vista espressi sono molto diversi da quella che il ministro Maroni riterrebbe opportuni e desiderabili. Il pluralismo è garantito dalla presenza di altri programmi dove vengono espressi punti di vista diversi, e questi non mancano; ci si potrà sintonizzare persino sul telegiornale della prima rete nazionale per assistere alla messa in scena di una rappresentazione della realtà funzionale a una precisa parte politica e, questa sì, è una grave anomalia dell’informazione e dunque del nostro sistema democratico.
Del resto al ministro Maroni gli spazi televisivi per una replica che riteneva necessaria non mancano davvero e non se li è fatti mancare. Altrettanto equivoca è l’idea del pluralismo che si vuole affermare. Il pluralismo non consiste nel fatto che in ogni programma debbano essere rappresentati tutti i punti di vista. Sarebbe davvero un gran bel minestrone insipido! Se “Vieni via con me” ha avuto il successo che ha avuto, con quasi 10 milioni di telespettatori, se abbiamo visto una televisione diversa, come ci hanno fatto a lungo credere che non fosse possibile, ciò è dovuto proprio al fatto che l’agenda di “Vieni via con me”, i contenuti trattati e i punti di vista espressi sono molto diversi da quella che il ministro Maroni riterrebbe opportuni e desiderabili. Il pluralismo è garantito dalla presenza di altri programmi dove vengono espressi punti di vista diversi, e questi non mancano; ci si potrà sintonizzare persino sul telegiornale della prima rete nazionale per assistere alla messa in scena di una rappresentazione della realtà funzionale a una precisa parte politica e, questa sì, è una grave anomalia dell’informazione e dunque del nostro sistema democratico.
In questo quadro, un ultimo commento merita la definizione, per implicito contrasto, che Maroni ha dato dell’attività di denuncia di Saviano nei confronti della Camorra, di antimafia delle chiacchiere. Stiamo parlando di uno scrittore tradotto e apprezzato in tutto il mondo per la sua lucidità e il suo coraggio che gli sono valsi una vita sotto scorta. Definire allusivamente quella di Saviano antimafia della chiacchiere è un esercizio di cinismo non da poco.
1 commento:
è giusto dare diritto di replica a Maroni.
Saviano ha citato fatti e dall'alto dei suoi 9 milioni di telespettatori non ha nulla da temere.
Rifiutare il confronto significherebbe dare l'inpressione di non essere in grado di sostenerlo
Il confronto tra Maroni e Saviano s'ha da fare
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